Non chiamiamola più direttiva Bolkestein. Ieri, il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura un compromesso accettabile sulla liberalizzazione dei servizi nell'Unione Europea. Atteso da oltre due anni, il voto su questo provvedimento è stato altamente controverso. Martedì a Strasburgo abbiamo assistito alle ennesime manifestazioni anti-liberali e anti-capitalistiche della sinistra europea e italiana. Proteste inutili e controproducenti, che dimostrano la rilevanza della posta politica in gioco.
La liberalizzazione dei servizi, infatti, era diventata ostaggio di una campagna demagogica delle sinistre europee. Prima i socialisti francesi, poi i socialdemocratici di tutto il continente, hanno preso a pretesto la direttiva Bolkestein per strumentalizzare a proprio vantaggio le paure dei cittadini nei confronti dell'allargamento dell'Unione Europea. Sono stati agitati i fantasmi dell'idraulico polacco, del dumping sociale, dei rischi sociali e ambientali, della disoccupazione di massa e dei bassi salari. Quella della sinistra europea è stata un'operazione propagandistica che ha danneggiato pesantemente l'Europa: ha provocato il rigetto della Costituzione europea da parte degli elettori francesi, ha prodotto una impasse politica da cui non usciremo prima di molto tempo, ha ritardato l'adozione di un provvedimento necessario a mantenere l'Ue competitiva sul piano mondiale.
Il testo approvato dal Parlamento europeo, grazie al pragmatismo dei popolari europei, elimina i pretesti della sinistra per fermare l'integrazione europea. Il famigerato «principio del Paese di origine, secondo cui i prestatori di servizi sono assoggettati alla legislazione del loro Paese di appartenenza, non c'è più facendo cadere l'alibi del dumping sociale. La strada verso un vero mercato interno dei servizi, un settore che rappresenta il 70 per cento del Pil comunitario e che occupa più della metà della popolazione lavorativa, è aperta: non tutti gli ostacoli alla concorrenza sono stati abbattuti, ma molte barriere protezioniste cadranno. Resta da fare la cosa più difficile: trovare un accordo tra i governi e attuare realmente questa parziale liberalizzazione. Solo così, infatti, le imprese potranno essere più competitive sui mercati mondiali e i consumatori europei beneficiare di minori costi. Forse, possiamo smettere di farci la guerra tra noi europei, per cominciare a fronteggiare le sfide poste dall'arrivo di Cina e India.
C'è, però, un significato ancor più importante per l'Italia in questo voto. La Bolkestein era opera della Commissione presieduta da Romano Prodi, ma il leader del centrosinistra non ha detto una sola parola in difesa di questo che costituiva uno dei provvedimenti più importanti del suo esecutivo. Anzi, le forze politiche che sostengono la sua candidatura - dalla Margherita fino a Rifondazione comunista - si sono tutte opposte alla sua proposta originaria. Alla fine, i Democratici di sinistra hanno sottoscritto il testo di compromesso, ma la partecipazione del loro presidente, Massimo D'Alema, a braccetto con Fausto Bertinotti alla manifestazione dei sindacati contro la liberalizzazione dei servizi è il più chiaro manifesto dell'ambiguità e del cerchiobottismo di chi si candida a governare l'Italia.
Insomma, ancora una volta la doppiezza togliattiana di D'Alema ha finito col ridicolizzare Prodi, il quale, come al solito, tace.
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