La Borsa boccia le banche, teme la mina ricavi

Che cosa sta succedendo alle nostre banche in Borsa? Hanno retto meglio di chiunque altro alla crisi finanziaria. Hanno il minor profilo di rischio e la migliore raccolta dai depositi. Sono state prese da esempio dagli esperti internazionali come modello di business. Eppure a dispetto degli elogi, i numeri di Borsa indicano l’esatto contrario. Negli ultimi 12 mesi gli istituti nazionali hanno perso oltre il 27%, facendo peggio sia delle rivali europee (-9%) sia di quelle americane (-18% circa). Il quadro resta negativo anche da inizio anno con una performance di quasi il 14% inferiore rispetto alla media delle banche francesi o tedesche.
L’apparente paradosso si giustifica nella struttura stessa dei nostri istituti: commerciale e tradizionale. In Italia, infatti, il 60% circa dei ricavi deriva dal margine di interesse (contro una media europea del 52%), ovvero dal livello in cui si trovano i tassi di interesse verso la clientela. Dai mutui ai prestiti alle imprese l’incidenza dell’euribor sui risultati delle nostre banche è quindi fondamentale. Il rallentamento evidenziato dagli ultimi dati economici, con l’apertura delle Banche centrali (perlomeno in America e in Giappone) a operazioni monetarie non convenzionali ha allontanato le ipotesi di un rialzo nel breve del costo del denaro che resta sui minimi storici nei principali Paesi. «L’ombra del quantitative easing, ovvero dell’immissione di moneta nel sistema per stimolare la ripresa, lascia presagire come nel medio termine non ci siano gli estremi per un rialzo dei tassi», spiega Mario Spreafico, direttore investimenti di Schroders private banking. Per le nostre banche si profilano, quindi, magre soddisfazioni ancora per molti mesi. Gli analisti sottolineano, poi, come in un momento di pressioni sui ricavi l’opportunità di far leva sui costi sia meno incisiva in Italia, lasciando poco spazio a un aumento della redditività. Queste difficoltà sono emerse nei recenti risultati trimestrali con un livello di Roe (che misura la redditività del capitale) che si attesta al di sotto delle concorrenti straniere, intorno al 4%. Alle pressioni strutturali si aggiungono i fattori esogeni: la debolezza delle attività di trading per le perdite sui prestiti non esigibili (superiori del 2% rispetto alle media Ue) e gli aggiustamenti delle quotazioni dei bond governativi. I dubbi sulle capacità di rifinanziamento dell’Irlanda e sul recupero della Grecia hanno portato un nuovo allargamento degli spread di tutte le obbligazioni dei Paesi cosiddetti «periferici», provocando una reazione negativa sul mercato. Per non parlare delle incognite normative legate alla bozza di Basilea 3 che secondo il presidente dell’Abi, Giovanni Mussari, rischiano di rendere più complicata la ripresa. «Il settore finanziario non è certamente il preferito tra gli investitori negli ultimi tempi - continua Spreafico - le strette normative, l’incubo di una frenata economica, la fine delle rivalutazioni in bilancio dei prodotti strutturati che hanno trainato i risultati nei primi 2 trimestri stanno penalizzando tutto il comparto; anche se nel caso delle banche italiane credo si stia esagerando considerando la qualità dei fondamentali». Gli analisti stessi, da Goldman Sachs a Macquarie, sottolineano come ci siano dei segnali di miglioramento nel costo del credito che va stabilizzandosi, nella riduzione dei mutui a rischio, e nei margini. Eppure questo non ha risparmiato la scure dei broker sui prezzi obiettivi delle maggiori banche nazionali che sono stati ritoccati all’ingiù così come le stime sugli utili.

In sostanza, le certezze che gli istituti italiani possono vantare e che fino allo scorso anno venivano premiate dagli investitori appaiono ora appesantite da un insieme di fattori. E in attesa di una normalizzazione del mercato l’attenzione si è spostata su altre realtà, che pur se meno solide delle nostre, hanno il vantaggio di essere presenti in aree dalla crescita più dinamica.

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