Il boss tira in ballo due toghe: «Appoggi in cambio di regali»

Massimo Malpica

RomaLa barca, il boss e la toga. Dietro alla fine del giallo degli attentati e delle intimidazioni rivolte ai magistrati di Reggio Calabria nel corso del 2010, risolto con l’ordinanza d’arresto a carico dei fratelli Antonino e Luciano Lo Giudice, ai vertici dell’omonima ’ndrina, di Antonio Cortese e di Vincenzo Puntorieri (l’unico che era ancora a piede libero), c’è ancora molto da chiarire. Il provvedimento del gip di Catanzaro Assunta Maiore dedica un capitolo ai rapporti vantati dai Lo Giudice con due magistrati. Ne parla Nino, che ha deciso di collaborare con la giustizia, accusandosi degli attentati contro la sede della procura generale di Reggio Calabria e contro l’abitazione del Pg Salvatore Di Landro, e dell’intimidazione (un bazooka vicino al palazzo di giustizia) al capo della procura calabrese, Giuseppe Pignatone.
Secondo Nino, «il fratello Luciano, anche tramite (...) Antonino Spanò, manteneva rapporti con un pm (denominato nel corso dei colloqui captati in ambientale “zio Ciccio”) in servizio per un lungo periodo presso la procura della Repubblica di Reggio Calabria, trasferito dal 9/12/09 alla procura generale presso la corte d’appello di Reggio, nonché con altro magistrato (denominato “l’avvocato di Roma”) in servizio presso la Procura nazionale antimafia». Il primo, «zio Ciccio», è Francesco Mollace. Il secondo Alberto Cisterna. Due toghe di primo piano, che non risultano indagate, «a cui Luciano Lo Giudice - prosegue il gip - riteneva di essere così legato da poter chiedere loro un pesante interessamento nelle sue vicende cautelari». Tra le dichiarazioni del «collaborante» Nino, una riguarda l’avvocato del fratello, Giovanni Pellicanò, che gli avrebbe riferito che «Luciano Lo Giudice pagava la sua amicizia con i due predetti magistrati che, nella procura reggina, sarebbero stati in contrasto con il procuratore capo Pignatone».
Sui rapporti tra boss e toghe il gip è prudente. Riporta come Nino Lo Giudice, «compulsato dagli inquirenti sulla tipologia dei presunti rapporti» con i due magistrati, «è apparso volutamente reticente», ma si è detto «sicuro del fatto che si fosse trattato di rapporti leciti». Di queste «relazioni pericolose» parla anche un altro pentito, Consolato Villani, legato alla stessa ’ndrina, condannato a 30 anni per l’omicidio di due carabinieri. Villani il 21 ottobre scorso ha dichiarato che la strategia degli attentati reggini nasce dopo l’arresto di Luciano, perché il fratello Antonino «non accetta l’arresto in quanto violava l’immunità, anche perché Luciano aveva rapporti con qualche giudice, anche se non lo so con certezza». Ma è l’ordinanza che raccoglie le «evidenze di indagine» nei rapporti tra toghe e boss. In uno dei registri di Luciano c’era il cognome di Mollace seguito dall’annotazione «pastiera grande 1 bottiglia non è stato possibile», e «Cisterna» seguito dal numero di cellulare del pm. E altri riferimenti ai due magistrati sono emersi dalle intercettazioni dei colloqui in carcere del boss. Il 26 marzo 2010 i microfoni captano una frase del boss, che sta parlando col fratello Nino: «Tutto quello che diceva lo zio Ciccio, secondo me si doveva verificare, però c’è stato qualcosa che ha bloccato». In un altro colloquio, sempre nel carcere di Tolmezzo, il boss Luciano, lamentandosi della prigionia, dice alla moglie di chiamare l’«avvocato di Roma» per dirgli: «Ha detto Luciano che appena mette piede a Reggio va in matricola e si segna che vuole parlare con voi, perché vuole collaborare con voi». Il 5 marzo 2010 Luciano conferma a moglie e fratello di aver mandato un telegramma all’«avvocato di Roma», e riferisce il testo. Identico a quello di un telegramma «intercettato» due giorni prima e diretto, in effetti, al pm antimafia Cisterna.
Il pm, interrogato a giugno, ha ammesso di aver conosciuto il boss, «in quanto frequentava la rimessa di barche di tale Spanò», limitando i rapporti successivi a sporadici incontri al bar. Proprio Spanò, detto «Calipari», per Nino Lo Giudice è «l’anello congiunto tra Luciano e i magistrati».

E «Calipari», interrogato a dicembre, «ha confermato di aver detenuto presso la rimessa imbarcazioni dei due magistrati e che, in una occasione, quella di “zio Ciccio” fu trasportata da Luciano Lo Giudice e consegnata allo stesso presso la residenza estiva del magistrato». Secondo il gip, che pure invita alla prudenza (in mancanza di indicazioni sul perché i Lo Giudice si aspettavano «riconoscenza» dai pm), servono «maggiori approfondimenti».

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