Il braccio destro di Tanzi «Tutto il mondo sapeva del disastro di Parmalat»

da Milano

Sono passati quattro anni dal disastro Parmalat e Fausto Tonna non ha alcuna intenzione di tornare sul palcoscenico: «Mi lasci perdere, si scordi di me». Difficile, Tonna è stato uno dei protagonisti del grande scandalo: ha patteggiato a Milano, per il capitolo aggiotaggio, una pena di due anni e mezzo, si prepara ad affrontare il dibattimento principe, quello di Parma che inizierà il 14 marzo.
E allora, l’ex braccio destro di Calisto Tanzi sfodera la grinta di sempre: «Cominciamo col dire che le banche non avrebbero potuto vendere i bond ai risparmiatori. Basta leggere il prospetto informativo per capirlo. Io lo ripeto da quattro anni, ma voi giornalisti certi argomenti non li volete sentire».
L’ex direttore finanziario del gruppo di Collecchio parla con un linguaggio diretto e tagliente, il contrario esatto del Tanzi post-default, così dimesso e penitente.
Ragionier Tonna, le banche sapevano che Parmalat navigava in cattive acque?
«Il mondo intero sapeva».
Che cosa vuol dire?
«Da tempo molte persone erano a conoscenza del fatto che a Parma c’erano tensioni finanziarie. Parmalat aveva difficoltà a pagare i fornitori. Molti dirigenti del nostro gruppo erano informati, avevano il polso della situazione, anche quei dirigenti che non sono stati toccati dalle indagini. Ma anche fuori, credo che ci fosse la percezione di queste tensioni».
Perché le banche scaricarono sui risparmiatori, come ha documentato ieri il «Giornale», decine di milioni di bond?
«Bisognerebbe chiederlo a loro. Certo, posso provare rabbia nel vedere che io sono sotto processo e qualche banchiere no».
Perché Parmalat utilizzava i bond?
«Erano uno strumento di finanziamento. Finché io sono stato il direttore finanziario del gruppo, tutto è andato nel migliore dei modi. Noi abbiamo sempre onorato i debiti e restituito i soldi».
Poi?
«A febbraio 2003 ho lasciato».
Perché?
«Questioni personali con Tanzi che non intendo spiegare a lei».
E che è successo?
«La famiglia non ha gestito la difficile situazione finanziaria, ha mollato gli ormeggi. Peccato, dal punto di vista industriale Parmalat produceva redditi».
Però i bilanci erano truccati. E i risparmiatori, ignari, compravano i titoli.
«Le banche non avrebbero dovuto vendere i bond ai privati. Era scritto sui prospetti informativi».
Si aspettava quel tracollo?
«No. Parmalat, se supportata finanziariamente in modo adeguato, poteva essere salvata».
Sotto gli stabilimenti Parmalat si era aperta una voragine da 14 miliardi di euro.
«Altre aziende importanti, penso anzitutto a Fiat, erano in una situazione difficilissima, e invece si sono riprese. Gli istituti di credito, in quel caso, sono corsi al capezzale dell’illustre malato. Non sono scappati. Anzi, l’hanno rianimato».
Oggi che cosa fa?
«Faccio quello che posso».


Ha ripreso il lavoro?
«Lavoro quando posso. E mi preparo al processo di Parma».
L’opinione pubblica si aspetta finalmente giustizia per il più grande crac della storia italiana.
«Spero di essere giudicato per quello che ho fatto. E solo per quello».

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