«Brown? Come politico è stato un disastro»

LondraGordon Brown un calcolatore senz'anima, Diana una manipolatrice, la Regina «altezzosa». Non fa sconti a nessuno, nemmeno ai Reali, l'inventore della cool Britannia Tony Blair, nel suo ultimo libro uscito ieri in libreria.
"A journey", che tanto ha già fatto discutere per la decisione dell'ex leader laburista di donare tutti i proventi della vendita in beneficienza, non è soltanto il diario degli 11 anni di regno blairiano. È anche il racconto di una vita ormai molto poco privata, ma soprattutto il tanto atteso giudizio su molti personaggi della vita politica nazionale ed internazionale. A partire dall'eterno secondo, il cancelliere dello scacchiere Gordon Brown, controverso successore di Blair, considerato da quest'ultimo un traditore dei principi del New Labour. «Sapevo che le elezioni sarebbero state un disastro - scrive nel libro Blair - Brown possiede calcolo politico, ma non ha emozioni politiche. Intelligenza politica, tutta. Intelligenza emotiva, zero».
Secondo Blair il Labour ha perso «quando ha cessato di essere New Labour», con Brown appunto che aveva iniziato a tradirlo quando ancora Tony occupava il numero 10 di Downing Street. L'ex leader laburista sospetta di lui anche come orchestratore dello scandalo dei fondi neri del partito, scoppiato nel 2006, che compromise per sempre la sua carriera politica costringendolo poi di fatto ad uscire di scena.
Non si vergogna l'uomo politico divenuto autobiografo di confessare la tendenza di allora a rifugiarsi nell'alcool di cui sembra fece un uso eccessivo per far fronte alla pressione sempre più crescente. Un bicchierino di whisky o di gin prima di cena eppoi fino a mezza bottiglia di vino divennero per qualche tempo una «consolazione» di cui aveva bisogno per affrontare una situazione sempre più difficile. E molto scrive nel libro anche delle sue angosce e dei suoi sensi di colpa per la guerra in Irak. Blair difende ancora quella decisione perchè rimane convinto che il sospetto che Saddam Hussein avesse armi nucleari era più che ragionevole, ma ammette di non aver mai immaginato "l'incubo" in cui questo conflitto si sarebbe trasformato. Blair dice che proprio dopo questa tragedia ha deciso di voler dedicare «gran parte della vita che mi rimane per impegnarmi nel cercare la pace in questa regione». Tra i pochissimi uomini del partito elogiati dall'ex premier spicca la figura del suo vice di allora John Prescott, fedele e impulsivo, «sempre sul punto di esplodere come un vulcano, durante le riunioni di Gabinetto, incapace di collaborazioni proficue con le donne beneducate della middle-class di cui non riusciva a fidarsi». Affidabilissimo, mister Prescott non è mai riuscito a superare le sue «difficoltà con la lingua inglese» di cui si vergognava terribilmente e che lo terrorizzavano quando doveva sostituire Blair durante qualche riunione in Parlamento.
Un intero capitolo è dedicato anche ai rapporti non sempre facili con la famiglia reale. Non è una novità che i coniugi Blair non siano mai andati particolarmente a genio alla Regina Elisabetta, anche se Tony ha sempre sentito di dover difendere la monarchia da ogni possibile attacco. Tra tutti i membri di sangue blu che ha conosciuto, quella a cui Blair più si sente più vicino è senza dubbio la principessa Diana. «Siamo entrambi - dice- dei manipolatori, bravi a carpire immediatamente i sentimenti degli altri e istintivamente pronti a giocare con quest'ultimi». In "A journey" l'ex primo Ministro offre la sua versione delle ultime ore prima della morte della Principessa del popolo e definisce «altezzosa» la prima reazione di Elisabetta che al momento della scomparsa di Diana si trovava nella dimora di Balmoral e inizialmente rifiutò di tornare immediatamente a Londra. Seppur non direttamente, ma attraverso dei colloqui con il figlio Carlo, Blair la convinse che insistere in questa posizione sarebbe stato un enorme errore, umano e politico.

Quando Diana morì, Blair era appena salito al potere. Dopo il suo funerale, trascorse il weekend a Balmoral dove si sentì spesso a disagio. Alla fine però Elisabetta tornò sui propri passi ammettendo «che aveva imparato qualcosa in quei giorni».

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