Bufera sui debiti sovrani, a picco le banche

Le tensioni sui bond europei si abbattono sui titoli finanziari. Ma pesano anche i deboli risultati dell’ultimo trimestre: quelli di Unicredit (-4,6%) sono peggiori delle stime. Per l’ad Ghizzoni, Germania e Paesi dell’Est Europa restano strategici

Non si è salvata nessuna Borsa europea, ieri, dall’on­data di vendite che si è inne­scata al crescere dei rendi­menti dei titoli di Stato porto­ghesi, passati dal 4,3% al 6% del collocamento di ieri e di quelli irlandesi, che hanno stabilito un nuovo massimo storico all’8,7% sulle emissio­ni a 10 anni. I mercati hanno fatto un ragionamento sem­plicissimo: se si fatica a collo­care il debito sovrano nei Pae­si periferici dell’Ue significa che le condizioni e le prospet­tive dell’intera economia non promettono nulla di buono. I dubbi sulla capacità di cresci­ta si riverberano­sulla possibi­lità che le entrate fiscali possa­no ripagare il debito che, an­zi, tende ad aumentare: e in un contesto di affanno della produzione industriale (ieri è stato diffuso il dato Istat relati­vo a settembre, in Italia: me­no 2,1% sul mese preceden­te), prefigura un rallentamen­to della crescita. «La grossa in­certezza sui debiti sovrani, so­prattutto di Grecia, Portogal­lo e Irlanda, non è una novità - osserva Mario Spreafico, re­sponsabile investimenti di Schroders - . Ma se si somma alle modeste previsioni di cre­scita, è chiaro che si innesca la speculazione. E le prime a farne le spese sono le banche: perchè nel 2008 sono state lo­ro a provocare la crisi, e per­chè stentano a riprendere la via della crescita e a tornare all’efficienza precedente». Così ieritutte le Borsa d’Eu­ropa hanno perso tra lo 0,95% di Londra e il 2,78% di Atene. Milano è stata la seconda peg­giore, con un calo del 2,56%. E sono stati proprio i titoli ban­cari a pesare sui listini, a Piaz­za Affari in particolare. Peg­giore, tra le grandi banche, In­tesa Sanpaolo, con un crollo del 5,22%all’indomani dei da­ti trimestrali (definiti dall’ad Corrado Passera «piuttosto incoraggianti»), seguita da Unicredit, -4,61%, che pro­prio ieri ha presentato i conti a settembre con risultati in flessione. Scivoloni anche per Bpm (meno 4,62%) che ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con un calo dell’uti­le netto del 40,4%, per Ubi Banca (-3,87%), Banco Popo­lare (-3,17%), Mediobanca (-3,07%) e Mps (-2,23%). Quanto a Unicredit, nei no­ve mesi l’utile rettificato di 1,16 miliardi è in calo del 12,5% sullo stesso periodo dello scorso anno, mentre l’utile netto del trimestre, 334 milioni, è stato superiore al tri­mestre precedente ma infe­riore sia allo stesso periodo del 2009 (394) sia alle previsio­ni degli analisti. «C’è molto da fare»,ha com­mentato il nuovo ad, Federi­co Ghizzoni, alla sua prima uscita sui conti (non ancora attribuibili alla sua gestione). Ghizzoni ha ribadito che il gruppo intende rimanere in Germania («Sarebbe illogico lasciare l’economia più forte in Europa») e rafforzarsi nei Paesi dell’Est («Un’area stra­tegica per noi»). Qui al massi­mo potrà esserci qualche ri­pensamento, pare, sui Paesi Baltici. Buoni segnali sul fron­te­del rafforzamento patrimo­niale: il Core Tier 1 si è infatti attestato a fine settembre 2010 a 8,61%, con un incre­mento trimestre su trimestre di 20 punti base e il Tier 1 al 9 ,67 per cento. Ghizzoni a questo proposito ha sottoline­ato che «Unicredit già rispet­ta i requisiti fissati da Basilea 3 per il 2013». Ghizzoni ha rilevato che con «la governance ora defini­ta » (anche se è ancora atteso il sostituto di Sergio Ermotti al corporate) il gruppo è «nel­le condizioni per migliorare i risultati nei prossimi trime­stri ».

Ma il mercato tiene Uni­credit e Ghizzoni sotto osser­vazione: si tratta di capire qua­li costi avrà la ridefinizione del modello di business, con l’avvio di Banca Unica, e qua­li conseguenze avrà, in termi­ni di costi e di efficienza, il rin­novo del management delle seconde e terze linee, che se­guirà quello avvenuto nella prima. Una curiosità. I costi operativi del terzo trimestre sono lievemente calati nono­stante una partita «non ricor­rente » di 38 milioni: la liquida­zione ad Alessandro Profu­mo.

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