Le bugie di De Magistris: "Mollo la toga, anzi no"

Prima del voto il neo-eurodeputato aveva giurato: "Lascio per sempre la magistratura". E Di Pietro mise la mano sul fuoco: "Per noi questa è una regola non scritta, una legge morale". Eppure ora ha chiesto l’aspettativa per non perdere la poltrona

Le bugie di De Magistris: "Mollo la toga, anzi no"

Roma Un taglio netto col passato? Quando Luigi De Magistris annunciò la sua candidatura nell’Idv, sembrava certo di aver chiuso con la vita da magistrato. «La mia è una scelta irreversibile, anche qualora non dovessi essere eletto», sospirò in conferenza stampa il 18 marzo. Scelta approvata, e confortata, dal parere del leader, l’altro grande ex, Tonino Di Pietro. «De Magistris si dimetterà dalla magistratura subito dopo le elezioni, lo assicuro. Anche lui, come me, pensa che sia una strada senza ritorno una volta che da magistrato si passa alla politica». Una sicurezza che non lasciava spazio a spiragli di sorta. «De Magistris - proseguiva Di Pietro - lascerà con l’amarezza nel cuore». Toga addio, insomma, e pazienza per i rimpianti. Anche perché, ribadiva Tonino nell’occasione, pure se non c’è l’obbligo di rassegnare le dimissioni «io l’ho fatto e De Magistris lo farà». «Per noi questa è una regola non scritta che ci applichiamo, non un generico richiamo», concludeva severo il leader dell’Idv: «Noi ci siamo dimessi perché applichiamo la legge morale». Ma all’ex pm di Catanzaro non andava tanto di farsi tirare per la giacchetta, e le certezze della prima ora un mese più tardi erano meno granitiche. «Me ne andrò dalla magistratura quando lo dico io», spiegò De Magistris. E, pur dicendosi contrario a una legge che impedisse il ritorno alla carriera di magistrato, il futuro europarlamentare ribadì: «Sarebbe inopportuno un mio ritorno, perché la scelta dell’attività politica è per me definitiva. Non mi sono dimesso finora perché trovavo brutale un taglio netto e radicale».
Poi arriva il giorno della chiamata alle urne, De Magistris stravince, ma ancora non si dimette. E ora, l’ultima sorpresa. L’ex pm di Catanzaro dal 18 marzo era in aspettativa per la durata della campagna elettorale. Proprio in occasione di quella richiesta, il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, osservò che «i magistrati che scelgono la politica non dovrebbero tornare più in magistratura», commento che innescò l’annuncio di «irreversibilità» da parte dell’ex pm dell’inchiesta «Why not». Irreversibilità che, però, viene rimandata a un futuro non troppo prossimo. Dieci giorni fa, infatti, Luigi De Magistris ha chiesto con una missiva la proroga del provvedimento che congela il suo posto di lavoro, prolungando l’aspettativa per tutta la durata del mandato parlamentare europeo. Toccherà al plenum del Csm esprimersi sulla sua istanza, presentata dalla Quarta commissione di Palazzo dei Marescialli, e l’appuntamento per la decisione è in calendario tra due giorni, martedì, nel corso dell’ultima riunione del Consiglio superiore della magistratura prima di chiudere i battenti per la pausa estiva.
Insomma la porta per rientrare nei panni che l’hanno reso famoso De Magistris se la lascia aperta, provando a mettere la toga in frigo. L’unico addio resta quello, clamoroso, dall’Anm, annunciato con una lunga missiva all’indomani della decisione del Csm di trasferirlo da Catanzaro. Una lettera nella quale, tra l’altro, l’ex pm rinfocolava le polemiche sul ruolo del suo «accusatore» Vito D’Ambrosio, rappresentante della Procura generale della Cassazione in udienza, per il quale De Magistris non rappresentava «in modo adeguato il modello di magistrato».

D’Ambrosio, scriveva il pm, era un «ex politico, che per circa dieci anni è stato anche presidente della giunta della Regione Marche». Ora il politico è lui. Ma, nonostante le «leggi morali» di Tonino, non pare aver voglia di diventare un ex magistrato.

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