Il buon governo è sempre un governo del fare

Ascoltando e leggendo le esternazioni (nobili e alte, naturalmente) dei vari Bocchino, Casini, Fini con il corollario dei Rutelli, D’Alema, Bersani e compagnia cantante, esternazioni riguardanti le future combinazioni politiche possibili: centro, grande centro, forse centrodestra, ma anche centrosinistra, governo di larghe intese, governo tecnico ecc. mi sono ricordato di una massima del filosofo Alexander Pope, vissuto fra ’700 e ’800: «Lasciamo agli sciocchi contendere sulla forma di governo; il migliore è sempre quello che ha una buona amministrazione». Credo che la differenza sostanziale fra la vecchia politica e la novità portata da Berlusconi (e dalla Lega) stia proprio in questa frattura: di là parole, inciuci, ricerca di potere e poltrone, programmi farraginosi e irrealizzabili, alleanze fatte e disfatte, chiacchiere in libertà; di qua la politica del fare, guerra senza tregua alla criminalità organizzata e all’evasione fiscale, ristrutturazione della pubblica amministrazione, progetti di grandi opere pubbliche (TAV, ponte sullo stretto, nuove autostrade, trafori delle Alpi, piano casa nazionale), riforma dell’inefficiente e costosa scuola pubblica, tenuta dei conti pubblici con tagli anche dolorosi (per i beneficati) di inefficienze e sprechi. E, dunque, «lasciamo agli sciocchi» dedicarsi alle loro astruse architetture pseudopolitiche, ai loro deprecabili inciuci e auguriamoci che l’attuale governo riesca a realizzare, se non tutto, buona parte del programma per cui l’abbiamo votato. E se riusciranno a far saltare il banco dovranno spiegarci per bene le ragioni del loro voltafaccia e vedremo con che faccia ci chiederanno il voto: la matita l’avremo in mano noi.
Ospitaletto (Brescia)

Molto ben detto, caro Solazzi e credo proprio che le sue considerazioni rispecchino, per filo e per segno, quelle del popolo delle libertà senza maiuscole, cioè degli italiani che al di là dell’appartenenza politica, al di là delle convinzioni ideologiche quello vogliono: un governo che non si perda in chiacchiere, ma lavori e mantenga le promesse fatte agli elettori. È montando quotidianamente la panna, o se preferisce la fuffa, dell’antiberlusconismo che l’opposizione è riuscita a mettere la sordina all’azione di governo, che pure vanta uno stupefacente attivo, difficilmente riscontrabile nella storia della Repubblica (in particolare nei governi Prodi e D’Alema, asmatici i primi, irrilevante il secondo). E il risultato è che per una parte degli italiani il presidente del Consiglio ha trascorso questi due anni oziando (e peccando) a villa Certosa lasciando che l’Italia andasse in rovina. Se non stupisce la cortina fumogena della sinistra, meraviglia anzichenò che Berlusconi non abbia adottato le contromisure, dando conto al Paese, con il timbro e gli strumenti che la civiltà dell’immagine e della comunicazione oggi consente, del lavoro fatto. Se li ricorda, caro Solazzi, i mini spot dei primi governi Berlusconi, quelli che terminavano con l’apposizione del timbro: «Fatto!»? Mandavano letteralmente fuori dai gangheri i «sinceri democratici» perché efficaci e inappellabili, perché erano rospi che l’opposizione doveva ingoiare uno via l’altro e perché fendevano il carapace delle ottuse coscienze progressiste, dei lettori di Repubblica e degli estimatori dei Santoros.

Eppure, non solo non li si è più visti, ma non sono stati nemmeno sostituiti con altre forme di così efficace comunicazione. L’auspicio è che dunque il Cavaliere torni a investire i cittadini con un uragano di «Fatto!»: gli argomenti non mancano, tant’è che se cominciasse ora ne disporrebbe di sempre nuovi fino al giorno delle elezioni.

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