Carla Fendi è simbolo della moda. E sempre più del mecenatismo: duro e puro, quello che non vuole nulla in cambio. È la quarta delle sorelle Fendi, un marchio - ora nella holding Lvmh - che ha fatto la storia della moda italiana, e che grazie alle intuizioni di Carla è sbarcato sul mercato internazionale. Nel 2007 ha lanciato la Fondazione che porta il suo nome, uno strumento per promuovere la cultura di casa nostra, dalla letteratura, al cinema, moda, musica. È anche particolarmente vicina al Festival di Spoleto, al quale ha donato un teatro, il Caio Melisso, riportato completamente a nuovo.
Chi è il mecenate oggi?
«Essere mecenati vuol dire sostenere la cultura. Essere mecenati puri, come nel mio caso, vuol dire agire con questo obiettivo senza fini di lucro. Operare spinti solo da una responsabilità sociale. Un impegno che mi gratifica perché mi fa sentire parte attiva della realtà in cui viviamo. Operare per la tutela del patrimonio artistico, per incentivare la cultura, per la sostenibilità dell'ambiente, mi coinvolge perché sento così di dare un supporto al mio Paese e contribuire alla sua immagine nel mondo, creando - al contempo - anche opportunità di lavoro».
In Italia spesso fa difetto l'attenzione al bene comune.
«Noi non abbiamo una grande educazione in questo senso o perlomeno ne abbiamo meno di altri Paesi. Credo sia una questione culturale. E forse la causa è il nostro stesso privilegio. Quando cioè si è circondati da così grandi e tante bellezze artistiche, territoriali, ambientali, quando l'estetica pervade normalmente la nostra vita quotidiana, forse non ci si rende più conto della enorme fortuna che abbiamo a vivere in questo Paese unico».
Lei si è dimessa dal consiglio di amministrazione di Fondazione Festival Spoleto optando per la presidenza onoraria. Si è parlato di un effetto del decreto sulla trasparenza che obbliga gli amministratori delle istituzioni di spettacolo a pubblicare online i propri redditi. Che cosa è successo?
«Certamente no, amo l'arte e per quanto mi è possibile la sostengo. Sono stata però costretta, a seguito di questa legge, a dare le dimissioni che riguardano però solo la partecipazione al consiglio, dove stavo del tutto gratuitamente. Resta il mio supporto al Festival di cui sono main partner. Ho dovuto farlo per salvaguardare esigenze di sicurezza e tutela di privacy».
Suggerimenti per rettificare?
«Si potrebbero prevedere deroghe con riferimento alle persone che partecipano ai consigli di Fondazioni o ad altri enti ad evidenza pubblica per motivi di meriti artistici, industriali o commerciali o per opere di mecenatismo. Queste persone potrebbero subire grave pregiudizio dalla pubblicazione di dati sensibili, come sono certamente quelli inerenti i beni patrimoniali costituiti soprattutto da beni immobili limitando l'informazione da dover rendere pubblica unicamente a quelle consistenze patrimoniali, come riportate nelle risultanze delle dichiarazioni fiscali la cui informazione è doverosa. Ci uniformeremmo a quanto avviene all'estero».
Cosa pensa invece dell'Art Bonus?
«È certamente un passo avanti per chi fa mecenatismo anche se non tutti possono godere della defiscalizzazione. Anche qui bisognerebbe adeguarsi alle norme di altri Paesi che hanno defiscalizzazioni che facilitano e sono da incentivo al mecenatismo anche per chi non ha direttamente redditi di impresa. Io opero attraverso la Fondazione Carla Fendi con atti di puro mecenatismo e non di sponsorizzazione. Alcune normative in materia di defiscalizzazione non aiutano chi, come me, e come altri, vuol fare mecenatismo senza avere una attività che generi redditi di impresa».
Cosa vuol dire gestire la cultura con uno spirito d'impresa?
«Per me vuol dire contribuire ad un progetto non solo attraverso una donazione ma diventarne anche parte attiva. E quindi seguire lo sviluppo del progetto, partecipare alla sua realizzazione, vedere la riuscita finale. Il coinvolgimento diretto è una necessità che nasce forse dalla mia educazione al lavoro: seguire un'iniziativa per me vuol dire accompagnarla dall'inizio alla fine, con passione, impegno e rigore. Così ho fatto con il restauro del Teatro Caio Melisso a Spoleto. E mi ha molto emozionato sentirmi dire dal Maestro Riccardo Muti che non aveva mai sentito che un privato restaurasse un Teatro con un'opera di puro mecenatismo».
La Fondazione Carla Fendi sostiene una serie di enti e iniziative. Cosa la spinge a scegliere gli uni piuttosto che gli altri?
«Difficile da spiegare: c'entrano la motivazione culturale, i soggetti coinvolti, l'impegno non solo finanziario ma di coinvolgimento effettivo, insomma un insieme di componenti».
Lei promuove anche giovani emergenti. Chi si profila all'orizzonte?
«Più che promuovere particolari personalità artistiche, la Fondazione sostiene eventi, progetti culturali iniziative che ritiene interessanti, all'interno delle quali poi operano gli artisti. Cito come esempio il ciclo che è stato recentemente inaugurato a Roma nella Basilica di Santa Maria in Montesanto, la Chiesa degli Artisti. In questa occasione abbiamo partecipato al progetto del rettore Don Walter Insero, che ha voluto coinvolgere diverse personalità creative che, in occasione dell'Anno Santo della Misericordia, esporranno le loro opere in un colloquio tra Arte Liturgia».
Il Teatro alla Scala ha aperto i battenti a una sfilata di Dolce&Gabbana. C'è chi sostiene che i sacri muri della lirica non dovrebbero ospitare eventi di questo genere. Lei che idea s'è fatta?
«Penso che la moda sia espressione del costume, testimonianza dei nostri tempi e quindi, senza necessariamente dire che è una forma d'arte, ritengo che possa e debba trovare spazio in ogni luogo e sempre nel rispetto del luogo. Fendi d'altra parte è stata antesignana in questo. Nel 1985 la Galleria Nazionale di Arte Contemporanea di Roma ha ospitato la mostra «Un percorso di lavoro Fendi Karl Lagerfeld» nata in occasione dei sessant'anni del marchio. Non era mai accaduto che un Museo italiano ospitasse una mostra di moda, come invece si verificava all'estero».
Cosa continua ad intrigarla del mondo della moda?
«La capacità di essere sempre lo specchio dei tempi in cui viviamo, di registrane gli umori, le fantasie, le incertezze, di essere testimone e artefice del costume della società».
Cosa le piaceva di più dell'immagine Fendi?
«Ho sempre amato molto il mio lavoro nella comunicazione, anche se poi nell'ambito di Fendi mi sono occupata di altri settori lavorando anche a fianco di Karl Lagerfeld. Mi è sempre piaciuto far conoscere nel mondo la straordinaria creatività di Fendi, per raccontare cosa c'è dietro a questo marchio, la sua cultura, le sue ricerche. Al di là di una collezione, c'è una storia, costruita da tanti tasselli e che ogni collezione, ogni evento nasce da un pensiero, da una filosofia, da un'esperienza, da valori diversi che creano la cultura della griffe».
Che difficoltà c'è nel lavorare in un'azienda di famiglia, alle prese con incrocio d'affetti e affari?
«Non difficoltà ma una grande opportunità. La famiglia e il lavoro insieme sono stati un magnifico coinvolgimento, una bellissima storia di amore tra business e affetti. Un dialogo, anche a volte non facile, ma che ha contribuito a dare un'immagine unica, un grande valore aggiunto alla personalità del marchio».
Come si sente a quindici anni dal passaggio di Fendi nella galassia Lvmh?
«Felice che Fendi, marchio di eccellenza, abbia avuto questa grande chance economica che l'ha portata ad essere competitivo nel mercato globale».
Come definisce l'eleganza?
«Un dono che si ha nella pelle: un appeal innato che nasce dall'animo e dalla personalità».
E il buon gusto?
«Un'arte che si impara e che insegna a calibrare la moda con l'estetica».
Come è cambiato il lusso?
«Questo termine per me non esiste e non è mai esistito. Implica però un concetto sintetizzato dal termine qualità che per me rappresenta tutto».
Spesso ha detto che gli artigiani sono il nostro petrolio.
«Credo moltissimo nel valore dell'artigianato italiano, una vera fonte culturale di ricchezza del nostro Paese. E per quanto mi è possibile sostengo l'importanza di custodirlo, preservarlo tramandandolo di generazione in generazione perché il nostro artigianato non è solo l'arte del saper fare con maestria manuale, ma del saper fare con creatività, con inventiva, che si differenzia totalmente da quello ripetitivo di altri Paesi. Dobbiamo veramente sottolinearne la dignità, a tutti i livelli, e sensibilizzare anche le istituzioni affinché venga tutelato. Personalmente vorrei dedicarmi a divulgare questa importanza».
Da romana, che appello lancia al nuovo sindaco di Roma?
«Far sì che ci si possa sentire ancora orgogliosi di questa città, unica nel mondo».
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