Burlando è impedito: «Devo andare in piazza»

Burlando è impedito: «Devo andare in piazza»

(...) Un appuntamento assolutamente politico, di parte, contestatissimo. Burlando ha disertato la convocazione del giudice perché doveva celebrare la rivolta del 30 giugno 1960.
La storia è lunga, risale a un paio di anni fa. Al San Martino, dopo una ventina d’anni di battaglie, era finalmente stato realizzato il nuovo reparto di oculistica, una palazzina di quattro piani da 800 metri quadrati ciascuno. Un fiore all’occhiello della sanità ligure, che però è venuto alla luce con un clamoroso neo: uno dei piani era stato assegnato a una dottoressa specializzata in foniatria, cioè nella riabilitazione del linguaggio per chi ha avuto problemi come l’ictus. Comunque una specialità che non aveva motivo di collegamento con l’oculistica. Gli stessi primari avevano storto il naso, c’erano stati dibattiti, convegni, l’argomento era stato tirato in ballo anche in occasione di confronti sul «peso» della politica nelle scelte della sanità, sulle invasioni di campo in nome delle tessere. Il professor Edoardo Berti Riboli era stato tra i più accesi contestatori dell’assegnazione del piano a foniatria. La polemica aveva tirato in ballo direttamente il presidente Claudio Burlando. Il reparto sarebbe stato dato alla dottoressa - questo il significato delle accuse - per riconoscenza in quanto il padre del governatore era stato tanto amorevolmente seguito nel suo percorso riabilitativo.
Il professor Berti Riboli, nel corso di un incontro ristretto ad alcuni primari, aveva giudicato una simile situazione degna di «un dittatorello sudamericano», perché di solito «per ringraziamento si manda un mazzo di fiori o un presente, non si assegna un reparto». Frasi che erano uscite dall’ambito ristretto della riunione e, finite sui giornali, avevano provocato la reazione di Burlando. La querela era stata immediata e la soluzione della controversia è finita inevitabilmente nelle aule del tribunale di Genova.
Per quasi due anni la cosa era stata dimenticata dall’opinione pubblica. Fino alla scorsa settimana, quando il giudice aveva fissato la prima udienza del processo. Le «prove» a discolpa del professor Berti Riboli erano state in larga parte rigettate. Il magistrato aveva ammesso di fatto solo tre testimonianze fondamentali: quella del professor Gianni Calabria, dello stesso Claudio Burlando e di Gaetano Cosenza, all’epoca dei fatti direttore generale del San Martino. Appuntamento alle 11 del 30 giugno 2010. Esatto, proprio il 30 giugno, giornata simbolo della nuova sinistra che guarda al futuro, il giorno della gloriosa violenza di Genova. Un appuntamento al quale Burlando non poteva mancare, anche perché avrebbe dovuto persino commuoversi al ricordo del pestaggio di poliziotti e carabinieri andati in piazza con armi scariche. Come fare per essere presente a Palazzo Ducale insieme alla Cgil che organizzava l’evento dopo il consueto corteo di piazza? E come fare per non violare il precetto della convocazione del giudice?
La soluzione non poteva essere quella del certificato medico. E così il legittimo impedimento tanto criticato è stato utilizzato dal presidente della Regione per spiegare al giudice che non aveva tempo per lui. Che poi l’impegno istituzionale irrinunciabile fosse una manifestazione di parte politica, ancorché aperta all’intervento delle istituzioni locali a maggioranza centro sinistra, poco importa. La giustificazione al giudice è stata offerta così.

La mattina del 30 giugno 2010, in aula, c’era così il solo Gianni Calabria, che ha raccontato il clima e gli eventi di quei giorni, compresa la misteriosa assegnazione del piano alla dottoressa foniatra. La voglia di Burlando di partecipare alle celebrazioni del cinquantennale della sanguinosa rivolta di piazza dev’essere stato considerato un impedimento abbastanza legittimo.

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