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Bush non ha fretta, la guerra è improbabile

Il presidente prende atto del fallimento della missione Ue, ma preferisce una linea cauta: non crede che l’Iran avrà presto la bomba

Alberto Pasolini Zanelli

«Sospettoso» ma ottimista. O almeno «cautamente ottimista». Così George Bush si è autodefinito nel momento in cui sta per venire a maturazione il bubbone che ha covato per anni e che è stato parzialmente coperto da una fioritura di acne o da altri disturbi epidermici. Mentre scoppiavano una crisi e poi una guerra sulle inesistenti armi di distruzione di massa dell’Irak (compreso un fantasioso progetto di armamento atomico) l’Iran andava avanti costruendosi le basi per un futuro nucleare. L’America l’aveva incluso nell’Asse del Male assieme all’Irak e alla Corea del Nord, ma poi in pratica aveva finto di fingere di essersene dimenticata ed aveva preferito affidare a dei riabilitati alleati europei il compito di trattare con Teheran, proporre mediazioni, compiere «assaggi».
Un capovolgimento abbastanza rapido e benaugurale per i rapporti atlantici, anche perché la «missione Teheran» aveva ricompattato la Gran Bretagna di Blair, «falco» fedele, e le «colombe» riluttanti di Parigi e di Berlino. Tre moschettieri con licenza di parlare, fino a un certo punto, anche per conto di Bush, incaricate di trasmettere le sue minacce ma senza impegnarvelo come avrebbe fatto un negoziato condotto di persona. Il fatto è che oggi la nobile e ragionevole missione sembra avere fallito, restituendo con ciò la patata bollente nelle mani di Washington. I governanti di Teheran, vecchi e nuovi, sono stati abbastanza cortesi verso il comitato di mediazione anglo-franco-tedesco, hanno ascoltato i suoi argomenti e registrato le sue pressioni. Però quando si è venuti al dunque l’Iran si è rifiutato di fermare gli esperimenti, anche quelli che, sia pure alla lunga, potrebbero portare, attraverso l’arricchimento dell’uranio, al possesso di materiale ad uso bellico. Gli europei a questo punto non hanno potuto fare a meno di prenderne atto e di compiere un passo indietro, tornando ad ammonire Teheran che in questo caso chiederanno una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, da cui potranno uscire delle sanzioni. Sia la decisione iraniana, sia la lettera del terzetto sembrerebbero implicare un tono ultimativo e dunque la possibilità di un confronto, anche militare, a breve scadenza.
E decisioni in questo senso potranno essere prese solamente da Bush, perché se le sanzioni dovessero portare a una guerra, solo gli Stati Uniti sono in grado di condurla. Per questo c’era chi si aspettava dall’uomo della Casa Bianca una reazione molto dura magari in termini direttamente ultimativi. Ciò finora non è accaduto. Anzi le parole rivolte dal nuovo presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, al segretario dell’Onu Kofi Annan, vengono interpretate da Bush come «un segno positivo»; anche se questo aggettivo è circondato da avverbi come «cautamente» e dalla più vasta premessa che il presidente Usa rimane «sospettoso e scettico» delle intenzioni generali dell’Iran. La posizione americana si potrebbe dunque riassumere in due parole: ferma ma non affrettata. Bush sembra tener conto anche del rapporto della Aiea che non esclude uno sviluppo militare ma ne calcola i tempi di realizzazione da sei a dieci anni. Tuttavia il giudizio politico sulle intenzioni iraniane rimane severo: ci sono precedenti di un continuo tentativo per «offuscare» i fatti e dunque non ci sono motivi per dare al regime di Teheran il «beneficio del dubbio». Bush rimane convinto che, anche se l’Iran potrà avere un beneficio economico immediato dall’installazione di nuove centrali energetiche, il modo con cui questo obiettivo viene perseguito è deliberatamente quello che, un poco più avanti sulla strada, porterebbe allo sviluppo di ordigni militari. L’America presenterà dunque all’Onu un progetto di sanzioni contro l’Iran, come fece a suo tempo contro l’Irak.

Ma tutto lascia intendere che si darà più tempo al tempo e che una guerra bis non è nei programmi immediati.

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