C’è una destra che non sta con l'America

Quando lo scorso 2 dicembre il centrodestra ha portato in piazza San Giovanni due milioni di persone, Valentino Parlato ha sferzato sul manifesto chi nel centrosinistra ironizzava su quell'evento di popolo. L'Unione «non può prendere sottogamba - come mi pare abbia fatto Prodi - la giornata di ieri e le centinaia di migliaia di persone che erano a Roma» scriveva Parlato. E forse è il caso di restituirgli il favore, discutendo serenamente di ciò che è accaduto a Vicenza. Sul significato simbolico del corteo di sabato ci sono due osservazioni da fare. La prima riguarda la tenuta politica dell'Unione. Qui c'è poco da dire.
È ridicolo il centrosinistra che - diciamolo alla yankee - si costruisce una home made opposition, un'opposizione fatta in casa con i deputati che manifestano contro il governo Prodi senza però manifestare contro il governo Prodi. La seconda osservazione, più problematica, parte da una semplice domanda: siamo proprio certi che i manifestanti di Vicenza fossero tutti sindacalisti fiancheggiatori, perdigiorno del ribellismo e (ma)scalzoncini vari? O le decine di migliaia di persone di sabato non sono solo «sinistra fluttuante» (Edmondo Berselli), ma la porzione più agguerrita di un'opinione pubblica vasta e trasversale rispetto a questa maggioranza e a questa opposizione parlamentare? Stando alla «linea del giorno» che accomuna in un sol uomo le dichiarazioni di tutti i leader del centrodestra, la risposta è scontata: ma che stai dicendo, è tutto semplicissimo, di là c'è un governo che stringe i denti - e un po' se la fa addosso - per mantenere gli impegni con dear Condoleezza mentre la sua base elettorale ripropone le più stanche parole d'ordine del pacifismo antiamericano, di qua c'è la Casa delle libertà, politici ed elettori, che ha appoggiato con entusiasmo l'intervento in Irak, che manderebbe i nostri soldati sulle prime linee delle montagne afghane, e che oggi saluta l'amico americano venuto a costruirsi una nuova base militare. Questa immagine così nitida, che sovrappone quasi meccanicamente le posizioni dei partiti di centrodestra alle opinioni dei loro elettorati, è una semplificazione.
A Vicenza la protesta è nata, come si dice, bipartisan: se la manifestazione non fosse stata preceduta da un vigilia di paura per l'allarme violenza e le possibili contaminazioni estremiste, e se non ci avesse messo il cappello la sinistra radicale No-tutto, a marciare sarebbero andati anche tanti militanti ed elettori della Casa delle libertà. E forse qualcuno c'è andato lo stesso. Non c'è da stupirsi. Esistono storicamente, nel centrodestra, subculture politiche non marginali che accettano, ma non condividono appieno, la linea di totale appoggio alla «dottrina Bush»; le si ritrova in alcuni settori comunitaristi della Lega, nel cattolicesimo sociale (Roberto Formigoni, per esempio), nei teorici dell'Europa delle patrie, nella destra nazionalpopolare. Segnalatori di un fenomeno più vasto: i sondaggi condotti durante gli anni di permanenza in Irak del contingente italiano hanno sempre rilevato la contrarietà di più di un terzo degli elettori di centrodestra e di destra all'intervento militare, una percentuale che il sussulto di orgoglio nazionale dopo la strage di Nassirya ha pure rafforzato. L'iperamericanismo non ha mai fatto breccia nel senso comune, e se si è sensibili alle tendenze di opinione non si può non tenerne conto. Persino Oriana Fallaci aveva scritto che la guerra in Irak è stata un errore, un «nuovo Vietnam». Era antiamericana, Oriana? Ha ragione Sergio Romano: «Non occorre essere verde o pacifista per avere qualche dubbio sull'opportunità delle basi americane in Italia». La contrarietà a «Ederle 2» o la critica di alcune scelte politico-militari dell'amministrazione americana non richiede per forza di esporre bandiere arcobaleno, suonare i bonghi con i centri sociali o fare i pagliacci dell'antiamericanismo.


Si possono, ad esempio, seguire le ragioni molto pragmatiche dell'interesse nazionale, che qualche volta non coincidono con quelle degli Stati Uniti. Mettersi in testa l'elmetto da marine per andare all'attacco delle contraddizioni del governo in politica estera è buona tattica. Il sentimento profondo degli italiani, però, è un'altra cosa.

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