C’è in me un’inquietudine che mi lascia amarognolo

17-9-1945

Mia carissima:
perché comincio così freddamente? Perché ho ricevuto la tua prima lettera e non mi dice quando verrai, mi dice «pensami e aspettami», mi dice «attendo lietamente di ritornare»; e non so quanto debbo aspettare, e mi sembra di essere quello che t’ho detto l’altra volta, uno strumento e nient’altro. E sono malinconico e quasi deluso.
Tu attendi lietamente e io invece no, perché non so quando e se verrai: e mi sento così solo, così deserto che mi viene voglia di saltare la cena (no, non lo farò). Tu parli di giorni: ma almeno, dimmi quanti: se no non so che fare. Dimmi almeno: in settimana? O sarò solo tanto tempo?
Vedo dalla lettera che sei allegra, e se c’è una nube non nasce proprio da me (perché sono così cattivo?): sono contento della tua allegria, ma c’è in me una tal qual inquietudine che mi lascia spostato e amarognolo.
Star lontani, è, per me almeno, un problema: è possibile? Tutto è possibile, anche penzolare da una corda, mangiare il vetro di Murano, e bere il petrolio; e poi? Ma se ci riesci tu... lietamente.
Mi dai tante raccomandazioni di non pensare a nulla, ma io mi sento così desolato e inquieto, così scontento.
Ti prego di ringraziare tuo padre per Guanda: è assai più di una gentilezza, uno spiraglio nel buio compatto del mio vivere attuale.

Speriamo in bene: per la traduzione penso tirerò fuori Carlyle o altro similare, di egual valore nutritizio.
Ho bisogno di un consiglio immediato. Mi consigli di prendere allo spaccio di Rocca la roba di settembre? Io penso sia assai meglio.
Ti bacio e ti abbraccio
tuo Giorgio

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