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Cacciari: "Il Pd è fallito? Si sciolga subito"

Il sindaco di Venezia: "Veltroni apra la resa dei conti prima delle europee, aspettare l’autunno per il congresso è un grande errore. Il leader ha molte colpe, ma gli altri non sono innocenti". Quindi invita Bersani a mettere sul tavolo il "progetto alternativo"

Cacciari: "Il Pd è fallito? Si sciolga subito"

Roma - Sindaco Massimo Cacciari, Veltroni ha sbottato: «Basta con questa cattiva abitudine di bruciare un leader dopo l’altro... ». Condivide lo sfogo?
«Il problema è un altro. Non è soltanto un problema di leadership, continuo a ripeterlo da anni».

Però non si può negare che il leader sia in difficoltà...
«A essere in crisi non è Veltroni ma tutto il Partito democratico».

E il leader non ha colpe?
«Ne ha tantissime, ma io mi chiedo: se Veltroni è colpevole, gli altri sono innocenti?».

A chi si riferisce? A D’Alema?
«A tutti. Qui bisogna capire chi intende lavorare e per quale disegno alternativo. Si vuole tornare all’Ulivo? Lo si dica. Ci si vuole dividere in socialisti e popolari? Lo si dica».

Be’, Bersani s’è già fatto avanti...
«Ma non è un problema di nomi. Se Bersani ha un progetto alternativo lo metta sul tavolo. Se Parisi ha un’altra idea ancora di partito scopra le carte. Insomma, io voglio capire qual è il nostro programma».

Se ne discuterà al congresso in autunno...
«Certo che se discuterà lì. I congressi si fanno apposta... Ma anche in questo caso Veltroni ha commesso un grande errore».

Quale?
«Quello di aspettare così tanto... Perché non farlo prima? Andava fatto a febbraio, a marzo...».

Si vogliono aspettare le elezioni europee...
«Con il pessimo risultato di subordinare la discussione al mero risultato elettorale».

E quindi?
«Se si vince nessuno toccherà Veltroni non perché ha ragione, ma perché è andato bene alle urne».

E se perde?
«Lo faranno fuori soltanto perché ha preso una scuffia alle elezioni ma senza discutere su che cosa vogliamo costruire».

Per ora si dice cosa non va nel Pd. Anche D’Alema ha parlato di «deficit culturale e organizzativo»...
«Mi sembra evidente che sia così».

Colpa della fusione a freddo di Ds e Margherita?
«Avrebbe dovuto essere la fusione più “a caldo” del mondo, un momento di discussione altissimo di come mettere insieme due culture riformiste».

E invece non è andata così?
«Di certo non doveva essere una semplice sommatoria di due tradizioni già spente».

Almeno non ha detto «tradizioni morte»...
«Morte no, ma spente sì. E lo sono dalla caduta del muro di Berlino, mica da ieri».

Insomma, è per il «redde rationem» nel partito il prima possibile?
«Si mettano tutte le carte in tavola una volta per tutte e si dica chiaro e tondo se il progetto del Pd è fallito e quindi va sciolto oppure no».

E potrebbe accadere? Si potrebbe tornare a Ds e Margherita?
«Sarebbe come fare non uno ma dieci passi indietro. L’ordine del giorno è segnato, così come il senso di marcia: affrontare forme e idee politiche nuove. E lo devono fare tutti, non solo il centrosinistra».

Allude al Pdl?
«Certo, nel centrodestra non avrebbe senso tornare al vecchio schema Forza Italia e An».

Lei è sempre stato per il Pd del Nord: un’organizzazione politica autonoma, seppur federata con il centro, sul modello del partito socialista catalano. Ma Veltroni l’ha già bocciato...
«Non l’ha bocciato, ha detto “ni”».

Ha appoggiato soltanto il cosiddetto «coordinamento» del Nord che però lei ha giudicato insufficiente, giusto?
«Giusto ma... Anche le nespole maturano... ».

Ma a Veltroni non piace proprio l’idea di dare maggior autonomia alla periferia?
«Certo che non gli piace. Il guaio è che è tutta la politica a essere scandalosamente romanocentrica. Risultato: continuano a ridurci i trasferimenti, ci vincolano con il patto di stabilità, salvo poi aiutare la Capitale e Catania».

Vabbè, almeno si corre verso il federalismo fiscale, no?
«Per ora è uno slogan: non c’è un numero, non c’è un dato sui costi, non c’è nulla».

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