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Il Cairo sta scoppiando e nasce un'altra capitale

La bomba demografica ha reso invivibile la megalopoli. Il piano di Al-Sisi per spostarla

Il Cairo sta scoppiando e nasce un'altra capitale

Al-Qhira al-Qobra è la quinta città al mondo per popolazione, e anche sovra-popolazione. La sua densità è da scatola di sardine, quasi 28mila abitanti ogni mille metri quadrati, quattro volte quella di Milano. Con i suoi 21 milioni di abitanti, il Grande Cairo comprende il centro città più l'agglomerato metropolitano e sta per esplodere. Trainata da una crescita demografica che in Italia ci scordiamo, 800mila nuovi nati l'anno, il sovraffollamento contribuisce ai peggiori incubi socio-urbani.

Per correre ai ripari, e per sfoltire e disinnescare questo mostro inquinante che ha quartieri grandi come Firenze, dove basta un niente per innescare la rivolta e dove la polizia non mette piede nemmeno con i tank, le autorità egiziane, 15 anni fa, hanno pensato a un progetto per replicare una nuova il Cairo. L'idea è di traghettare 6,5 milioni di cairoti nei prossimi dieci anni, selezionando, però, gli abitanti con i costi proibitivi dei nuovi immobili, che sposterà soltanto il ceto più ricco e politicamente vicino al presidente Abdel Fattah al-Sisi.

Sulla carta i lavori parlano di una superficie di 78.400 ettari (circa 784 kmq contro gli attuali 523 kmq) a 35 chilometri di distanza dall'attuale capitale d'Egitto. Il primo mattone è del 2016 e, dopo tre lustri di rinvii e tante polemiche, il ritmo ora è da cantiere cinese. Poche settimane fa al-Sisi ha annunciato che chiuderà la prima fase del progetto entro il 2020. Si sa che il Cairo 2 non ha ancora un nome ma dovrà essere faraonica come le piramidi, unica come il canale di Suez, le cui opere di ampliamento hanno, però, sofferto pesanti tagli dirottati sul progetto nuova capitale.

La nuova megalopoli sta sorgendo tra il Nilo e il Mar Rosso in una zona desertica, ampiamente sottosviluppata. Avrà un totale di strade asfaltate, tra tangenziali e autostrade, di 700 km, un aeroporto internazionale da almeno cinquanta milioni di passeggeri l'anno, cinquecento ospedali e 1.200 moschee: una di queste, assieme anche a una cattedrale cristiana, sarà la più grande al mondo. I quartieri saranno ventuno, tutti residenziali, tranne il borgo che ospiterà i centri di comando, riuniti per sicurezza e comodità. Ci sarà un enorme parco cittadino due volte l'attuale Central Park di New York con un fiume artificiale creato da un alveolo prolungato del Nilo. Il quartiere degli affari, la City, avrà una ventina di grattacieli, il più alto toccherà i 400 metri, quindi, nulla di che rispetto quanto già esiste in Asia o America. A oggi i lavori del centro politico con la casa presidenziale e il Parlamento sono completati al 50 per cento ma la preoccupazione di al-Sisi è di iniziare a traslocare almeno un paio di milioni di cairoti, iniziando dai quartieri più eleganti e ricchi. Per quelli più poveri non esiste ancora una data, segno che il Cairo continuerà a esistere, abitato da chi non può affrontare i costi del mercato immobiliare: in pratica quasi tutti i cairoti. Esiste, così, il rischio che la capitale egiziana diventi la Detroit del Medioriente, una città semi fantasma, un enorme ghetto di case popolari, abbandonate e con molti indigenti e disoccupati, prodotti dallo spostamento di servizi sociali e aziende.

L'Egitto ha una densità demografica ai limiti dell'assurdo, compresa la disposizione. Su una superficie totale di un milione di kmq, il settanta per cento della popolazione occupa soltanto l'otto per cento del territorio, abitando lungo la valle e il delta del Nilo, una delle zone più sovraffollate al mondo. Due egiziani su tre hanno meno di 30 anni ed entro il 2050 la popolazione toccherà i 150 milioni (cresce di 2,5 milioni all'anno). Più volte al Sisi ha parlato del problema demografico paragonandolo al terrorismo, «è la sfida più grande che l'Egitto sta affrontando». Poi, la scelta di spostare il centro del potere verso Est è anche motivata dalla volontà di un avvicinamento al canale di Suez ma anche alla penisola del Sinai, politicamente instabile.

Così come i costi, anche i tempi di realizzazione sono segreti. «L'intero progetto sarà autofinanziato attraverso la vendita di terreni pubblici», sono le poche parole del colonnello Husseini. Le società coinvolte nel faraonico progetto appartengono agli stati del Golfo, tranne la cinese Cscec. «È vero che il modello finanziario della nuova capitale non dipende dal bilancio statale, ma non si sa molto sui conti della società che lo gestisce, di proprietà del ministero della Difesa (51 per cento, il cui bilancio è segreto, ndr) e del ministero dei Servizi pubblici», racconta a Amro Adly, professore di Scienze politiche all'Università del Cairo. Ma il rischio di speculazione è altissimo, i prezzi sono proibitivi (appartamenti da 100mila euro) per la maggior parte degli egiziani che vive con una media di 300 euro al mese. La grande speculazione colpirà il quartiere diplomatico, quasi terminato. I costi dei palazzi delle ambasciate sono talmente alti che molti paesi dell'Ue non hanno ancora deciso se trasferire gli uffici nella nuova capitale. La megalomania del progetto, hanno osservato in molti, contrasta con la miseria di oltre un terzo della popolazione che, secondo i dati della Banca mondiale, sopravvive con due dollari al giorno.

Più che un gesto di civiltà per dare più dignità ai cairoti, è un'opera per i più agiati, che sottrae risorse indispensabili per lo sviluppo e il benessere sociale dell' Egitto.

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