Oronzo Canà, Paulo Roberto Cotechiño e gli altri: il calcio re della commedia

Il filone del calcio nostrano all'interno delle commedie italiane degli anni '80, con la voglia di raccontare vizi e virtù di una società che desiderava divertirsi

Lino Banfi è il mitico Oronzo Canà ne "L'Allenatore nel Pallone"
Lino Banfi è il mitico Oronzo Canà ne "L'Allenatore nel Pallone"

C’è stato un tempo in cui il calcio non era solamente uno sport, ma un grande rito collettivo, capace di unire l’Italia intera davanti a una radiolina, a una partita in TV della Nazionale, o a un campo dimenticato di provincia. Erano gli anni ’80, quelli in cui la domenica aveva ancora l’odore del sugo e della schedina del Totocalcio, e il pallone era una lingua franca parlata da chiunque: dal capitano d’industria per finire alla più candida delle nonne. Tutti sapevano chi fossero Dino Zoff o Paolo Rossi, eroi scintillanti di quel terzo titolo mondiale conquistato dagli Azzurri nella polverosa Spagna durante l’estate del 1982.

In quel periodo incantato, il cinema italiano decise di omaggiare lo sport più popolare a modo suo: con ironia, gag esagerate, ma anche un sincero affetto. Nacquero così una manciata di film che oggi identifichiamo con il poco nobile appellativo di “trash”, ma che in realtà sono fotografie vivide di un’Italia vivace, contraddittoria e profondamente umana. Quattro titoli su tutti sono rimasti impressi nella memoria di generazioni: “L’Allenatore nel Pallone”, “Eccezzziunale... Veramente”, “Paulo Roberto Cotechiño, centravanti di sfondamento” e “Mezzo destro, mezzo sinistro”. Un poker di pellicole sudaticce che hanno saputo trasformare il calcio in commedia, portando sullo schermo vizi e virtù del nostro Paese che stava inevitabilmente mutando.

Quattro film di calcio che segnano un’epoca

Quando il calcio raggiunge l’apice dalla popolarità, il cinema comico nostrano ci schiaffa sul grande schermo i suoi antieroi, quelli che mostrano senza pudore la pancetta al posto degli addominali, le superstizioni anziché le tattiche, e la provincia invece degli stadi più gremiti. L’Allenatore nel Pallone (1984) è forse il film più emblematico: Lino Banfi in stato di grazia veste i panni di Oronzo Canà, tecnico vulcanico chiamato ad allenare la Longobarda, squadra immaginaria e dal destino segnato, che lui ha il compito di salvare contro ogni pronostico. Tra corruzione, partite truccate e dirigenti cialtroni, Canà è un Don Chisciotte della panchina, che si destreggia in una Serie A che diventa commedia dell’arte. Splendida la parate di stelle del “campionato più bello del mondo” che prestano il proprio volto per rendere ancora più credibile una pellicola destinata al mito. Al fianco di Canà, poi, prendono posto una galleria di personaggi indimenticabili: il presidente Borlotti, Aristoteles (il talento brasiliano pescato per caso), e un mondo in cui il calcio è solo un pretesto per raccontare la furbizia e la forza dell’italiano che sa schivare anche i colpi più bassi.

Due anni prima, nel 1982, Diego Abatantuono aveva già scritto la sua personale Bibbia del tifoso in Eccezzziunale... Veramente, film a episodi dove interpreta tre personaggi-tipo: il milanista ultras dalla chiara discendenza meridionale, lo juventino superstizioso, e l’interista manesco insieme alla sua pletora di compagni di curva. È un’ode alla passione pallonara come religione laica, fatta di bar con il quotidiano sportivo in bella vista, gagliardetti, sciarpe, bandiere e giubbotti in pelle. Dietro le risate, il calcio diventa la fotografia per raccontare l’Italia spaccata in dialetti, fazioni e stili di vita. Tuttavia, anziché dividere, il film unisce: ci fa ridere dei nostri estremismi e ci fa riconoscere l’uno nell’altro.

Eccezzziunale veramente
Diego Abatantuono nei panni del "Ras della Fossa"

Poi arriva Paulo Roberto Cotechiño, centravanti di sfondamento (1983), e l’Alvaro Vitali nazionale – recentemente scomparso - ci regala il suo capolavoro nonsense: un attaccante italo-brasiliano che incarna il sogno proibito del presidente di una squadra squattrinata. Qui il calcio è solo un pretesto per infilare battute osé, inseguimenti slapstick e un erotismo da fotoromanzo ingiallito. È l’Italia dell’edonismo reaganiano, che guarda al Brasile ma si ferma ai confini della provincia. Nonostante tutto, anche qui si intravede una riflessione sul pallone come circo mediatico, come spettacolo dove l’immagine spesso conta più del talento. Chiude il quartetto Mezzo destro, mezzo sinistro (1985), con Gigi e Andrea: due lazzaroni coinvolti in un affare sporco nel mondo del pallone. Il film è grezzo, sconclusionato, ma sincero. È la pellicola che racconta il marcio del calcio pane e salame, fatto di scommesse, picchiatori e allenamenti al bar più che sul rettangolo verde.

Un’Italia che (forse) non c’è più

Questi film non raccontano solo il calcio in modo farsesco. Parlano di una nazione che voleva modernizzarsi ma che si scontrava nel suo immutabile desiderio di “panino e gazzosa”. Sono parabole in tuta acetata, affreschi grotteschi dove il pallone è solo una metafora per dipingere i nostri pregi e difetti, le nostre aspirazioni più alte e i desideri più pruriginosi.

Eppure, sotto al velo di volgarità e alle risate spicce, brillava qualcosa di profondo: un’affezione sincera per la nostra essenza italiana e un’autoironia che oggi sembra scomparsa nei meandri di un calcio miliardario e sempre meno popolare (per non dire nazionalpopolare).

Ridendo di Canà e dei suoi moduli fantasiosi, come il mitico "5-5-5", forse sorridevamo anche della nostra incapacità di prenderci sul serio all'interno di una società ruggente come quella degli anni ‘80. Un decennio tanto ingenuo quanto colorato e senza freni. In una parola: bellissimo.

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