
In qualsiasi istante, in qualsiasi parte del mondo una crisi nucleare con ripercussioni sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti potrebbe scoppiare senza preavviso. In quel caso un unico individuo, un unico americano potrebbe decidere della sorte di milioni di persone. Ad avere tale sconfinato e inimmaginabile potere è il presidente degli Stati Uniti, il quale avrebbe meno di una decina di minuti per stabilire la portata della minaccia e dare eventualmente l'ordine di lanciare missili nucleari contro un nemico, la Russia, la Cina o forse la Corea del Nord, pronto a regolare i conti con Washington una volta per tutte. Una volta per sempre. Tutto ciò anche qualora le valutazioni del leader della superpotenza dovessero andare contro le considerazioni espresse dai suoi più stretti consiglieri.
"Posso andare nel mio ufficio, alzare il telefono e in 25 minuti 70 milioni di persone morirebbero". Così disse nel 1974 a un gruppo di legislatori l'allora presidente statunitense Richard Nixon. Un agghiacciante aneddoto rievocato dal Washington Post, il quotidiano della capitale Usa che nelle ultime settimane in un momento di grandi turbolenze internazionali ha riacceso i riflettori sui pericoli legati alle armi nucleari pubblicando una serie di approfondimenti sull'argomento.
Il quotidiano della capitale Usa sottolinea che poco è cambiato dai tempi di "Tricky Dicky". Ancora oggi infatti il commander in chief è l'unico ad avere l'"autorità esclusiva" di ordinare l'inizio della guerra che pone fine a tutte le guerre, infrangendo i principi di deterrenza - che in caso di un attacco contro il territorio degli Stati Uniti avrebbero già perso di validità - e scatenando lo scontro mortale tra scorpioni da cui metteva in guardia il padre del Progetto Manhattan, J. Robert Oppenheimer.
Il capo della Casa Bianca ha tale smisurato potere - sulla carta può decidere di premere il bottone rosso anche senza consultare il parere degli esperti della sua squadra - sin dalla creazione della bomba atomica. A volerlo fu Harry S. Truman, il presidente che autorizzò l'impiego di bombe atomiche contro le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Una disposizione, motivata dalla necessità di tenere le armi nucleare lontane dalle mani di generali "dal grilletto facile", che è arrivata intatta ai nostri giorni.
Ecco dunque che il leader americano è costantemente seguito da un ufficiale militare con una grande valigetta nera, la "nuclear football", del peso di circa 18 chilogrammi. Al suo interno è contenuto il "libro nero" con tutte le opzioni a disposizione del presidente per quanto riguarda tempistiche, tipi di sistemi di lancio e obiettivi di un attacco nucleare. Opzioni semplificate ai tempi di Jimmy Carter e paragonate da un ex assistente militare di Bill Clinton a un "menù della colazione di Denny's".
Apparecchiature di comunicazione sicure consentono al presidente di chiamare il National Military Command Center del Pentagono per trasmettere l'ordine. Per verificare un ordine di lancio, il numero uno della Casa Bianca deve identificarsi con un codice univoco inciso su una piccola tessera nota come "biscuit" che deve portare sempre con sé. Confermata l'identità del presidente e trasmesso l'ordine, il Pentagono potrebbe eseguire l'ordine di lancio in un minuto circa. Se venisse approvato un attacco con missili balistici intercontinentali (ICBM), i missili verrebbero lanciati in circa due minuti. Come sottolinea il Washington Post, non è possibile richiamare o disinnescare gli ICBM una volta lanciati.
La velocità di azione e reazione di Washington è fondamentale. Gli esperti stimano che il titolare del potere esecutivo degli Stati Uniti avrebbe meno di 10 minuti per analizzare la situazione e decidere la risposta prima che i missili lanciati dal nemico raggiungano obiettivi americani, tra i quali ci potrebbero essere centri nevralgici come la sede del ministero della Difesa, i silos di lancio negli Stati Uniti occidentali e la stessa Casa Bianca.
Se si pensa alla necessità di scoraggiare un attacco sovietico durante la Guerra Fredda, il sistema che enfatizzava la velocità di risposta da parte di Washington aveva un certo senso. Esso però non solo è ancora in vigore ma permette anche al presidente di scatenare un attacco nucleare non necessariamente in presenza di un pericolo imminente. O, peggio ancora, nel caso di un falso allarme. Una circostanza, quest'ultima, in parte materializzatasi nel 2018 quando l'Agenzia per la gestione delle emergenze Usa (Ema) segnalò tramite gli smartphone dei residenti alle Hawaii l'arrivo di missili balistici. Si scoprì che qualcuno aveva premuto il "pulsante sbagliato" e per fortuna non ci furono conseguenze catastrofiche ma se il messaggio fosse stato registrato all'interno del sistema di allerta nazionale il presidente sarebbe stato informato della minaccia e avrebbe potuto ordinare un lancio nucleare prima di avere notizia del clamoroso errore. A quel punto sarebbe stato troppo tardi per porvi rimedio.
Andò quasi peggio nel 1979 quando il Pentagono e altri centri di comando rilevarono circa 1500 missili balistici sovietici diretti verso gli Stati Uniti. Gli equipaggi dei bombardieri fuono allertati. Furono fatti decollare i caccia e il velivolo di emergenza del presidente, noto come l'"aereo del giorno del giudizio". Sei minuti dopo gli ufficiali del Comando di difesa aerospaziale nordamericano scoprirono che una cassetta di addestramento che simulava un attacco di Mosca era stata erroneamente inserita nel loro sistema informatico principale e da lì trasmessa ad altre strutture di comando.
A rendere più probabile un disastro nucleare è il fatto che il sistema di reazione Usa si poggia, come abbiamo visto, sulla razionalità e stabilità di chi risiede alla Casa Bianca. Né il segretario alla Difesa né il Capo di Stato maggiore congiunto hanno l'autorità legale per fermare il presidente. Il Codice di giustizia militare statunitense non permette ai subordinati al potere esecutivo di disobbedire ai suoi ordini. In tempo di pace chi contravviene agli ordini è punibile con il congedo con disonore, la perdita della paga o cinque anni di reclusione. In tempo di guerra, è prevista persino la pena di morte. Gli addetti ai lavori concordano sul fatto che qualcosa debba cambiare, conclude il Washington Post nella sua analisi. Nel 2021 circa 700 scienziati e altri esperti hanno chiesto a Joe Biden di modificare la politica di autorità esclusiva del commander in chief per tutelarsi da un futuro presidente "sconsiderato" o "instabile". Nessuna modifica, ad oggi, è stata implementata.