Missione suicida: la passeggiata di Dale Gardner nello spazio senza ganci

Nel 1984 l'astronauta Dale Gardner si rese protagonista di un gesto folle: recuperò un satellite fluttuando liberamente nel vuoto cosmico

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Che diamine ci fa un tizio nel bel mezzo dello spazio, intento a fluttuare senza nessun gancio di protezione che gli impedisca di essere risucchiato chissà dove? Sembra fantascienza, eppure è tutto vero. L'anno è il 1984 e gli Usa gonfiano i muscoli con lo Shuttle, preparandosi a conquistare fette di galassia sempre più consistenti. Per farcela è necessario attenersi a programmi e procedure stringenti. I rischi devono essere limati, ridotti ad una prossimità che lambisce lo zero. Quest'uomo però se ne infischia altamente. Passeggia nel vuoto cosmico, sottoponendosi ad un pericolo assurdo.

Il suo nome è Dale Gardner, è un astronauta della NASA e durante una missione pensa bene di uscire dalla sua navetta per galleggiare nello spazio aperto, da solo, senza alcun cavo, braccio robotico o corda di sicurezza. Addosso ha solo un jet pack. Ossia uno zaino con dei razzetti propulsori che lo spingono avanti, indietro, a destra, a sinistra. Roba da film di fantascienza. Solo che non è un film. È la missione STS-51-A dello Shuttle Discovery. Il compito di Gardner, insieme al collega Bruce McCandless, è quello di recuperare un paio di satelliti malfunzionanti, come fossero lavatrici rotte da gettare in discarica. Solo che non è così che Dale dovrebbe agganciare quella ferraglia logora. Va letteralmente a recuperarlo a mano, fidandosi della traiettoria studiata a bordo, e del fatto che non verrà trascinato via. Che senso ha rischiare la vita in quel modo? La missione, messa così, è potenzialmente suicida.

La NASA oggi una cosa del genere non la permette nemmeno sotto tortura. Le passeggiate “senza vincoli”, come le chiamano loro, finiscono presto nel cassetto delle idee troppo belle per essere vere. Troppo pericolose. Troppo fuori controllo. Troppo americane, se vogliamo. Perché la nuova frontiera dello spazio, adesso, si muove in silenzio, facendo meno cinema. Più algoritmi, meno eroismi. Ma quella scena torna attuale perché, incredibilmente, rievoca un’idea che gli Usa accarezzano seriamente da un pezzo: catturare un asteroide. Letteralmente. Prendere un sasso vagante dello spazio, infilarlo in un sacco robotico e trascinarlo fino all’orbita lunare. La missione si chiama ARM (Asteroid Redirect Mission), è ambiziosa, visionaria, e come spesso accade, viene uccisa da un foglio Excel. I vincoli sono troppi: l’asteroide deve avere la dimensione giusta, la densità giusta, ruotare con calma, stare nel posto giusto al momento giusto, e infine farsi prendere. Alla fine si decide che no, non è il caso di spendere miliardi per tentare di fare una cosa del genere.

Peccato, perché il concetto è chiaro: imparare a manipolare piccoli corpi celesti, usarli come palestra per missioni future, e magari anche capire come deviarli se un giorno uno di loro decidesse di venire a sbatterci addosso a 40mila chilometri all’ora. Nel frattempo, nel 2022, la NASA fa centro con la missione DART, colpendo il satellite Dimorphos per spostarlo leggermente dall’orbita. E OSIRIS-REx raccoglie frammenti dell’asteroide Bennu e li spedisce a casa. Ma sono missioni automatiche, fredde, pulite, ipercontrollate. Nessun astronauta in volo libero. Nessuno zaino a razzo. Nessuno che si lanci nel buio cosmico con la sola fiducia nei calcoli fatti a terra. Gardner e McCandless, nel loro silenzio impassibile, restano due archetipi di un’epoca diversa, dove l’America spara alto – in tutti i sensi – e dove il rischio non è una nota a piè di pagina ma il centro della scena.

Oggi lo spazio è un’altra cosa. Le traiettorie si calcolano al millimetro, i robot fanno il lavoro sporco, gli astronauti restano ben legati, e l’idea di fluttuare da soli come polline cosmico fa rabbrividire i manager della sicurezza. Ma il fascino resta.

Quel video non è solo nostalgia per l’epoca dello Shuttle: è una cartolina da un futuro che abbiamo immaginato ma non osato afferrare. E oggi, mentre parliamo di colonizzare Marte o deviare asteroidi, ogni tanto è utile ricordare che qualcuno, quarant’anni fa, faceva cose di quest genere.

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