Calabria: sopravvive coi soldi del Nord ma importa mano d’opera

Per secoli le Calabrie erano due, Citra e Ultra. Da 150 anni la regione è tornata a essere singolare, in tutti i sensi. In questi giorni è alla ribalta per i fatti di Rosarno, cittadina commissariata per infiltrazioni malavitose, dove si sono verificati scontri fra energumeni indigeni e immigrati.

Ci sono parecchie singolarità. È singolare che una regione che la statistica descrive come miserevole possa permettersi di importare mano d’opera come le società opulente. Nel terzo trimestre del 2009 aveva un tasso di disoccupazione dell’11,3%, contro il 7,3% nazionale e il 3% del virtuoso Trentino. È singolare che denunci un reddito da terzo mondo (13.271 euro pro capite, contro i 17.640 nazionali e i 21.486 della Lombardia), un’Iva pro capite di 98 euro (1.209 in Italia e 3.128 nel Lazio), imposte sulla casa di 237 euro a testa (439 in Italia e 658 in Val d’Aosta), 21 abbonamenti alla Rai ogni 100 abitanti (28 come media nazionale e 37 in Liguria). Ha il 20,15% dei Comuni in dissesto economico (contro il 5,32% d’Italia e lo zero di Aosta, Trentino e Friuli, e lo 0,9 della Lombardia): roba da allungare la mano per un baksheesh e non da importare mano d’opera.

E infatti lo Stato aiuta generosamente con posti e quattrini: il 6,7% degli abitanti ha un pubblico impiego (5,7% in media, 4,3% in Lombardia), c’è un rapporto fra lavoratori pubblici e privati del 22,2% (14,8% di media e 9,6% in Lombardia), ci sono 467 lavoratori «socialmente utili» (246 in Italia, 11 in Trentino) e 107,4 impiegati nel servizio civile ogni 100mila abitanti (73,9 in Italia, 21,6 in Val d’Aosta). La Calabria riceve 281 euro per abitante come trasferimento regionale (211 nazionali e 167 al Veneto), 499 euro per incentivi alle imprese (189 e 77 alle Marche) e alla fine si trova con un «residuo fiscale» di 3.473 euro sempre pro capite (contro una media di 266, e un residuo negativo di 3.292 in Lombardia), cioè ogni lombardo riceve 3.292 euro in meno di quel che ha dato, e ogni calabrese 3.473 in più, bambini e mafiosi compresi.
È singolare che non sia un orologio svizzero: la spesa pro capite per il funzionamento della Regione è di 265 euro (143 in media per le regioni ordinarie e 91 in Lombardia).

Oppure si tratta di sfiga: ha 119,5 invalidi civili ogni mille abitanti (82,8 in Italia, 54,8 in Lombardia). È anche singolare che non servano a molto neppure le iniziative di «economia creativa»: ha 3.460 protesti ogni 100mila abitanti (2.929 in italia e 739 in Trentino), e un tasso di frodi sui sinistri stradali del 5,73% (2,91, e 0,14% in Val d’Aosta). E non sono solo i neri che lavorano in nero: il 36,61% dei contribuenti calabresi dichiara reddito zero (24,16% in Italia e 16,68% in Lombardia), e si valuta in 1.500 euro pro capite l’evasione per lavoro sommerso (840 in Italia, 533 in Lombardia).
È singolarissimo che abbia un numero di laureati fra i più alti sulla popolazione di 25 anni di età (il 29,1% contro il 23,1% nazionale e il 14,9% del Trentino) ma solo una biblioteca ogni 5.269 abitanti (4.550 in Italia e 2.105 in Val d’Aosta).

Anche con il territorio il rapporto è davvero singolare: ci sono 1,66 reati contro l’ambiente denunciati annualmente ogni mille abitanti (0,54 in Italia, 0,11 in Friuli), il 26,7% di abitazioni abusive sul totale di quelle costruite ogni anno (11,9% in Italia, 1,8% nel Trentino) e i «Comuni ricicloni» sono lo 0,24% (13,34% di media, 56,11% in Veneto). Ci sono 11.200 operai forestali, uno ogni 56 ettari di boschi (156 in Italia, 7.000 ettari in Friuli) e la davvero singolare frequenza di 4,73 ettari incendiati l’anno ogni mille di bosco (1,9 in Italia, 0,05 in Val d’Aosta). Perché stupirsi che il turismo non renda come dovrebbe?

Non va meglio con l’ordine pubblico. Ci sono 117,95 calabresi detenuti ogni 100 mila (51,19 in Italia, 9,16 in Val d’Aosta), un omicidio volontario ogni 20mila abitanti (ogni 63mila di media nazionale, ogni 223mila in Veneto) e una persona denunciata per associazione a delinquere ogni 1.800 abitanti (6.400 in Italia, 21.300 in Umbria).

In questi giorni è successo di tutto ma nessuno - proprio nessuno - ha parlato di razzismo. Sparare a un negro va bene in Calabria, fischiare un calciatore a Verona porta direttamente a Norimberga senza neppure un procedimento preliminare. È tutto coerente con il pensiero politicamente corretto di Agazio Loiero, un faro della civiltà occidentale, che nel fondamentale tomo «Se il nord» (senza la «e» finale, che gli attribuiscono i maliziosi) ha descritto piagnucolante gli anni della sua giovinezza in Padania dove - poverino - aveva «potuto cogliere l’esistenza diffusa, pur se non maggioritaria, di un forte sentimento antimeridionale» che, testualmente, lo «turbava, perché contrastava molto con quel sentimento dell’unità nazionale percepito come valore appreso sui banchi di scuola». Che è il sentimento che permette di far passare le vicende di Rosarno come esuberanze giovanili e che ha spinto la televisione di Stato a mostrare subito quel che succede invece nella vicina Riace, che ha un sindaco ovviamente di sinistra, e dove l’integrazione è totale: tutta bronzi e chador. Roba che a quegli egoistoni e beceri di leghisti farebbe scappare una battutaccia sulla «Calabria Saudita».

Parrebbe singolare che adesso, spenti gli allegri fuochi mediterranei, gli immigrati maltrattati se ne vengano al Nord, dove c’è il razzismo vero, e dove Giorgio De Capitani e Dionigi

Tettamanzi sono già pronti ad accoglierli nelle case dei loro fedeli, e cioè nelle nostre. Insomma, africani e calabresi si prendono a legnate, ma chi paga sono sempre i padani. E questo non è per nulla singolare: è normale.

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