Roma - Dalla possibile serrata, il calcio approda a una decisione ragionevole. Niente barricate, si gioca. È il senso della riunione di quasi quattro ore, fatta di toni concitati ma anche di riflessioni pacate, alla fine della quale i club di A e B in coro raggiungono l’accordo. Dopo aver ferocemente contestato Matarrese. Tempestivo l’intervento di Pancalli, il commissario straordinario, nell’infuocata assemblea di Fiumicino. Si gioca allora, tutti di pomeriggio: la serie B sabato alle 15, la serie A domenica alla stessa ora. Si gioca quasi ovunque a porte chiuse: solo dieci sui ventuno i campi spalancati al pubblico, quattro in serie B e cinque in serie A (perché il Siena, società con il campo idoneo, gioca in trasferta a Cagliari).
«È stata la giornata più faticosa da quando governo questa Lega, alla fine siamo riusciti a dare una risposta di grande responsabilità. I presidenti hanno pensato prima al calcio, poi ai loro affari», la frase-consuntivo di Antonio Matarrese che riassume un pomeriggio da lunghi coltelli. Alcuni dei presidenti arrivano a Fiumicino con il muso lungo e il colpo in canna: sono inviperiti per la bocciatura dei loro stadi appena sancita dall’Osservatorio del Viminale. Non ci stanno, dicono che i loro abbonati sono un patrimonio da difendere. E sul fuoco soffiano anche i calciatori, attraverso Lucarelli e Gattuso.
E così, all’arrivo del presidente di Lega, è già bagarre. I patron di Napoli e Livorno vanno sul personale. «La Melandri? Già è stata ai Beni Culturali e lasciamo stare...» racconta urlando De Laurentiis, che ne ha anche per Matarrese, al quale viene contestata l’esclusione dal tavolo della trattativa con il governo per risolvere l’emergenza calcio. Il rilievo viene condiviso, anche se in termini meno polemici, da Massimo Moratti e Adriano Galliani. Spinelli è arrabbiatissimo, poi è il turno del patron del Chievo Luca Campedelli: «Pensate, io con Chievo-Inter perdo il maggior incasso dell’anno, ma va bene perché il mio stadio non è a norma. Secondo voi è giusto che il Verona in B giochi a porte aperte perché ha abbassato la capienza a meno di diecimila spettatori?». L’assemblea diventa una specie di processo a porte chiuse al presidente della Lega. Don Tonino è in grande difficoltà, permette di trascinare il caso all’Osservatorio del Viminale.
Quando il gioco si fa duro e la platea dei presidenti si ritrova dinanzi al bivio, giocare o non giocare, dichiarare la serrata, rovesciare il tavolo e il decreto del Governo, spunta a Fiumicino la sagoma mite di Pancalli, il commissario. Non lo accolgono benissimo. A quel punto prendono la parola gli esponenti più quotati, il presidente dell’Inter Moratti, il vice-presidente del Milan Galliani e il presidente della Juve Cobolli Gigli. Sono loro a disarmare i colleghi pronti allo strappo. «Se non giocare c’è il rischio di far saltare per aria il calcio» ricorda Pancalli che oggi vola in Svizzera per riferire a Platini e all’esecutivo Uefa su quel che accade a casa nostra. Prova a salvare l’organizzazione di euro 2012 e le partite interne della Champions di Inter e Milan. «Nessuno della serie A – dirà alla fine Matarrese – ha detto che non si doveva giocare. Qualcuno ha proposto stadi chiusi per tutti, ma io ho fatto capire loro che non era possibile tenere le porte chiuse laddove lo stadio è regolare».
Matarrese alla fine, in privato, ha un cedimento emotivo: gli vengono le lacrime agli occhi. Il calcio obbedisce, rientrata la rivolta e la sua poltrona resiste.
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