Ermanno Mori
Gli incassi delle scommesse ippiche, dopo l'introduzione di nuovi tipi di gioco (quarté e quinté sulle corse tris), hanno ridato fiato al settore. L'avvenire appare meno inquieto. Ma c'è ancora qualche problema grosso che dovrebbe trovare sollecita soluzione e sul quale, del resto, noi abbiamo già puntato il dito su queste colonne. Si tratta della divisione delle casse tra le due branche principali produttrici di proventi, galoppatori e trottatori, fortemente richiesta in più di una assemblea generale dagli allevatori di trotto, per una equa ripartizione degli incassi. Si tratta, quale secondo punto, del controllo anti-doping «pre-corsa», ad evitare le tante truffe che, con il sistema attuale, restano praticamente impunite. Clamoroso, a convalidare la nostra tesi, il caso di questi ultimi giorni con la squalifica per doping del primo e secondo classificati nell'Elitlopp di Stoccolma, dello scorso 30 maggio, prova di importanza mondiale. I due cavalli, Jag de Bellouet e Lets Go, cancellati dopo un mese dalla corsa, ad analisi completate, hanno fruttato centinaia di milioni di scommesse a chi li avevano indicati vincitori. Coloro che hanno puntato sui cavalli terzo e quarto arrivati, effettivi vincitori della corsa, dopo il verdetto sul doping non hanno preso un centesimo. Ma il terzo problema che ora poniamo sul tappeto riguarda la distribuzione delle giornate di corse tra i vari ippodromi. Il vuotarsi di certi ippodromi metropolitani (vedi quello desolante di venerdì scorso a San Siro Trotto, con un evento straordinario quale la World Cup, sottolineato dalla stampa sportiva) pone una serie di quesiti. Primo tra tutti è quello di concentrare i maggiori eventi sulle grandi piste «istituzionali» che però restano ormai desolatamente vuote, rendendo l'ippodromo simile ad una agenzia ippica di provincia. Fino a qualche tempo fa esistevano Enti tecnici retti da ippici, ai quali l'Unire assegnava annualmente le somme da distribuire in premi per l'anno seguente. L'Ente tecnico riuniva i direttori di tutti gli ippodromi, comunicando la cifra disponibile, iniziando un dibattito generale per la più utile distribuzione delle somme. I discorsi erano accalorati ma le soluzioni giuste si trovavano. Si teneva conto soprattutto della produttività economica degli impianti, della loro qualità, degli allevamenti ed operatori ippici esistenti in zona, delle passate tradizioni sportive, del valore turistico (specie per gli ippodromi estivi). Il numero delle giornate ripartite tra le varie piazze, risultava condiviso ed accettato.
Dopo la soppressione degli Enti tecnici, incorporati nell'Unire, ed in seguito al rigonfiamento, con centinaia di milioni, di un «fondo investimenti» fatto con il 2,50% dei proventi delle tris, da distribuire agli ippodromi per l'ampliamento degli impianti, si crearono due raggruppamenti: quello della «FederIppodromi» e quello di «Ippodromi e Città», che praticamente assunsero la rappresentanza di tutte le piste italiane. Tutti i rapporti economici con l'Unire venivano gestiti e definiti dai vertici della Federippodromi e di Ippodromi e Città, in riservate riunioni con funzionari dell'Unire. L'Unire attuale, e gliene diamo atto, ha cominciato a risolvere il problema dell'assegnazione dei corrispettivi agli ippodromi, per contributi sul costo della gestione dello spettacolo ippico, in seguito a studi della società Deloitte. Ma, per l'assegnazione del numero e della qualità delle giornate di corse, si agisce ancora con criteri rudimentali. Ci sono corse «ordinarie», con buone assegnazioni di premi, e che fruttano alle Società di Corse una percentuale sulle scommesse, su territorio nazionale ed estero, pari all'1,50% dell'ammontare lordo. Ci sono corse «differenziate», di scarso montepremi, con percentuale su tutte le scommesse dello 0,70%. Notiamo che alcuni impianti abbondano di corse ordinarie, altri, meno fortunati, ne hanno poche, ed a qualcuno che ne aveva pochissime, sono state tolte anche queste.
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