Lo spirito del tempo, bello o brutto che sia, irrompe con forza alla prima sfilata di Raf Simons per Calvin Klein, uno spettacolo commovente e coinvolgente di talento creativo. Il quarantanovenne designer belga alla guida della storica maison americana dopo il clamoroso divorzio consensuale da Dior, è riuscito a tradurre in moda tutto quello che finora ha reso New York la capitale del mondo. Sfila quindi il rispetto per le diverse identità culturali e per l'individualismo, per il passato che in città si ferma all'art Decò ma anche per un presente fatto di assurdi sbalzi climatici, di bande musicali metropolitane, di uomini e donne costretti a vivere correndo e a rappresentare se stessi 24 ore su 24. In più c'è anche un tocco di American West (le tute da lavoro, i camperos da cow boy e i giubbotti in pelle da Easy Riders) ma sempre con quell'inconfondibile eleganza newyorkese che ha il sapore della contemporaneità. La sfilata comincia e finisce sulle inconfondibili note di This is not America la bellissima canzone di David Bowie e Pat Metheny che è un vero e proprio inno contro ogni tipo di guerra. In mezzo ci sono altri brani che fanno parte della colonna sonora di tutti noi tipo la colonna sonora di Un uomo da marciapiede e quella de Il giardino delle Vergini Suicide firmata firmata dagli Air. Inoltre lo show si svolge sotto una gigantesca installazione dell'artista Sterling Ruby che occupa tutto il soffitto del salone nella storica sede di Calvin Klein al 205 della 39sima strada nel cosiddetto Fashion District. L'impatto è di per sé molto forte, ma anche i capi sono fantastici per via dell'approccio curatoriale che Simons ha utilizzato nel costruire l'intera collezione. Insomma c'è molto più della ricerca d'archivio nel proporre un semplice paio di jeans con l'immagine di Brooke Shields sull'etichetta ripresa dalla celebre murales del 1980 in cui la diva chiedeva ai passanti estasiati «Cosa c'è tra me e i miei Calvin Klein». Lei per altro è presente in sala seduta accanto a Lauren Hutton: una coppia di donne che sanno portare con grazia la loro età. In collezione ci sono i tailleur sartoriali, le gonne a matita, il cappotto identico per lui e per lei, i pantaloni da jogging con la banda laterale a contrasto e tanti pullover a collo alto con maniche di lana e torso in tulle. Insomma l'evoluzione del minimalismo che ha fatto la leggenda del brand. I capi più belli sono coperti da una protezione in vinile trasparente, l'ideale in una città che negli ultimi quattro giorni è passata dai 18 gradi di una precoce primavera a un uragano di neve. Anche gli abiti da sera in piume sono ingabbiati nel vinile e il messaggio arriva forte e chiaro: proteggete la bellezza. Sullo stesso filone social modaiolo senza inutili polemiche politiche ma con una decisa presa di posizione estetica, la sfilata di Desigual è una ben riuscita rimasterizzazione della controcultua musicale degli anni '60, '70 e '80. Nei capi c'è qualcosa di Marianne Faithfull e Sandie Shaw, di Blondie e Janis Joplin, dell'icona punk Siouxsie Sioux e della sua nemesi Lena Lovich. Insomma tutte le cattive ragazze che invece di andare in paradiso sono andate dappertutto. Il bello è che per una volta non c'è nessuna nostalgia, ma solo quel senso libertino e libertario del vestire che è una dichiarazione d'identità. Del resto la storia di Desigual è cominciata a Ibiza dove il fondatore del brand, Thomas Meyer, vendeva T shirt al mercatino hippy. Tutta diversa e per certi versi assurda la sfilata de La Perla si svolge nelle stanze di un immaginario castello inglese dove le più belle modelle del mondo (da Naomi Campbell a Kendall Jenner passando per Isabeli Fontana) si aggirano come moderne cortigiane con la lingerie a vista.
Insomma un sex appeal da sexy shop, ma certo se vuoi un reggiseno degno di questo nome La Perla è sempre il top. Da Thakoon è invece di scena il trench, un caposaldo del guardaroba femminile. Manca il mordente che aveva reso il giovane designer di origini orientali un beniamino di Michelle Obama.
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