Cambi, l’Europa torna dalla Cina a mani vuote

da Milano

Quando c’è di mezzo la Cina, è meglio non guardare l’orologio. Ogni 60 minuti, il surplus commerciale del Dragone nei confronti dell’Europa aumenta di 15 milioni di euro. A fine anno, il disavanzo del Vecchio continente, si avvicinerà ai 170 miliardi. Il nodo è grosso. Ma per poterlo sciogliere, occorre pazienza, tanta pazienza. Pensare, dunque, che la triade comunitaria Almunia-Juncker-Trichet potesse chiudere il summit di ieri con le autorità cinesi con in tasca un accordo, era praticamente impossibile. Il riequilibrio dei rapporti commerciali, d’altra parte, investe una materia delicatissima quale il rapporto di cambio tra euro e yuan. Di fatto, si tratta di un mistero valutario, apparentemente irrisolvibile: mentre dal 2005 la moneta cinese si è apprezzata nei confronti del dollaro di oltre il 9,5%, rispetto all’euro si è svalutata dell’8 per cento.
«Bisogna che i cinesi - ha spiegato il commissario Ue agli Affari monetari, Joaquin Almunia - diano prova di maggiore flessibilità e non si basino soltanto sulla relazione dollaro-yuan».
Il rapporto con l’euro è un paradosso evidente, rilevato anche dal presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker: «L’eurozona è il primo partner commerciale della Cina: perché lo yuan si deprezza verso l’euro, allora? Questo squilibrio va corretto». In caso contrario, c’è il rischio di una reazione di natura protezionistica, ha detto Juncker alle controparti cinesi. Alle quali ha anche ricordato come il formidabile passo di crescita dell’ex Impero celeste imponga azioni di contrasto all’inflazione, nonché altre misure tese a rendere il Paese meno dipendente dall’export e a favorire la domanda interna.
Pechino non si è comunque scomposta più di tanto. Il refrain è quello già sentito in tante altre circostanze dalle delegazioni occidentali - Usa in testa - in visita a Pechino: «Riformeremo il regime di cambio in modo graduale, dinamico e ragionevole». La posizione cinese è ben espressa dal premier Wean Jiabao: non c’è un’assoluta correlazione tra il tasso di cambio e le esportazioni, e dunque il deficit commerciale di un’area non può essere unicamente imputato agli andamenti valutari. Pazienza, ci vuole pazienza. Lo stesso presidente dell’Eurogruppo ha ricordato che la «missione non si attendeva risultati immediati», né voleva «dare lezioni alla Cina». A voler guardare il bicchiere mezzo pieno, la troika non rientra però a mani vuote in Europa, dove i problemi di una crescita rallentata dal super euro si intrecciano con quelli generati dall’onda dell’inflazione. Il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha annunciato l’istituzione di un gruppo di lavoro sino-europeo (di cui faranno parte anche esponenti delle due banche centrali) «per lavorare sulla questione della moneta». Almeno, è un primo passo.

L’importante è non avere troppe aspettative.
Trichet, che è un pragmatico, non ne ha: «Un più rapido apprezzamento dello yuan è qualcosa che viene esaminato, così ci è stato detto. Non andrei oltre». Insomma: meglio non guardare l’orologio.

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