Giorgio Napolitano ci ha preso gusto a cavalcare la Costituzione. Sarà l’incenso,che per un politico è il gas più inebriante e al tempo stesso più tossico, sarà il colpo andato a segno con l’imposizione di un governo nato, composto e istruito in qualche salottino del Quirinale, ma il capo dello Stato sembra non aver più freni. Arrivando a definire «una autentica follia» una legge dello Stato che tuttora regola l’acquisizione della cittadinanza. Una legge può piacere o non piacere, ma dichiararla «folle»-dando così del pazzo,dell’affetto da gravi turbe mentali all’intero Parlamento che quella legge votò- mette i brividi a chiunque abbia a cuore l’armonia democratica del Paese. Comunque, quella è la legge, la numero 91 del 5 febbraio 1992, e quella deve restare perché nulla è intervenuto a farcela credere troppo severa. Molto, invece, a farci temere gli incontrollabili - l’immigrazione, foss’anche «da parto», andrebbe alle stelle- e deleteri effetti di una sua revoca a favore del «diritto di suolo», l’automatica cittadinanza a chiunque veda la luce in Italia. Cittadinanza che comunque la legge, così com’è, non nega a nessuno, dopo dieci anni di residenza (ovviamente legale) e in assenza di precedenti penali.
Lo sappiamo tutti che siamo pieni di bambini extracomunitari, che asili e scuole ne straboccano e così gli ospedali. Bambini, per dirla con l’amico Giordano Bruno Guerri, «che vedono gli stessi cartoni, tifano per la stessa squadra, fanno gli stessi giochi» dei bambini italiani. Ma questa è forse una buona ragione per renderceli in blocco connazionali? Possono esser felici, giocare, vedere i cartoni, tifare per l’Inter e farsi curare le tonsille anche così. La cittadinanza non è una casacca da infilarsi come viene viene. Diventare italiani dovrebbe infatti significare far proprie la cultura, le tradizioni, la specifica civiltà degli italiani e tutto nel rispetto delle leggi dello Stato, anche se confliggono con quelle della saharia, mettiamo, o d’altri codici. Quando non si insegue ciò, la cittadinanza è solo un atto burocratico, un timbro. E una rendita. Ora, basta guardarsi attorno: di integrazione- compimento naturale della cittadinanza se ne vede pochina. Di figlie islamiche con propensione a integrarsi- occidentalizzarsi, secondo la condanna del padre- selvaggiamente picchiate quando non accoppate, quelle, invece, non mancano. Né mancano le casbah, il persistente svolazzo di chador o altri panneggi e la martellante rivendicazione, da parte dei gentili ospiti, della propria identità. Che è altra: rispettabile, certo, ma altra.
E i piccoli nati in Italia che si vorrebbero connazionali già dal primo vagito, dove crescerebbero? Nei giardini del Quirinale con nonno Giorgio nelle vesti di educatore civico che magnifica la cultura, la storia, la civiltà e la tradizione del Bel Paese? O non piuttosto in quelle enclaves islamiche o animiste, poco conta, degli alloggi dei genitori, dove a essere magnificata - e imposta - è la loro di cultura, civiltà, e tradizione? A nonno Giorgio tutto ciò interessa poco, tanto non avrebbe tempo di vedere l’Italia di quegli italiani. Ad averci a che fare - e sarebbero dolori - toccherebbe alle nuove generazioni. Bel regalo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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