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Caos Ru486, ora spunta il federalismo etico

Lo scontro sull'aborto. Dopo le iniziative dei governatori leghisti Cota e Zaia, contrari alla pillola per l’interruzione di gravidanza, l’Italia può trasformarsi in uno Stato laico a macchia di leopardo. Le Regioni rosse pronte allo "strappo" anche sulle nozze gay

Caos Ru486, ora spunta il federalismo etico

Roma È il federalismo, bellezza. Le prove generali si giocano sui temi etici, dopo che i neo governatori leghisti Cota e Zaia si sono pronunciati sulla pillola abortiva Ru486 al grido di «Mai nei nostri ospedali». Al di là del putiferio politico e delle frenate di Bossi, del ministro della Salute Ferruccio Fazio e di molti esponenti della stessa maggioranza, è innegabile che c’è già una legge che fissa dei paletti su come e quando poter interrompere una gravidanza.
Una legge, la 194, che vale per tutti, da Crotone ad Aosta, da Siracusa a Trieste, ma è vero anche che ogni Regione può avere differenti approcci nei confronti del farmaco. Così, sostenendo che «non mi piace che questa pillola si trasformi in qualcosa di simile a un’aspirina», Zaia ha fatto presente che la sua Regione potrebbe bloccare un farmaco e decidere come eventualmente distribuirlo. Scandalo? No. Perché anche il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella ha rammentato che «Consigli regionali e comunali di sinistra hanno diffuso la Ru486 quando non era autorizzata».
Cosa potrebbe accadere? Potremmo avere una sorta di mappa dell’aborto facile nelle Regioni rosse: Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Liguria, Basilicata e Puglia; meno lasche tutte le altre, a guida pidiellina. Potremmo così diventare uno Stato laico a macchia di leopardo, uno stivale più simile ai federalisti Stati Uniti che non alla centralissima Francia. Proprio i temi sensibili potrebbero portarci nell’anticamera di un federalismo etico che dall’altra parte dell’Atlantico funziona da parecchi anni: perché se l’Oregon e Washington sono più aperti a concedere il suicidio assistito per i malati terminali, in altri Stati quali lo Utah o il Nebraska resta un tabù. E ancora: il governatore della California Arnold Schwarzenegger ha mostrato i muscoli contro la sentenza della Corte Suprema che ha aperto ai matrimoni gay mentre l’Arkansas, con un referendum, ha approvato a larga maggioranza il divieto di adottare figli alle coppie non sposate. Matrimoni gay messi al bando in altri sette Stati, ma consentiti in altri. In tema di aborto, appena quattro anni fa i cittadini del South Dakota hanno per poco bocciato una legge che vietava l’interruzione di gravidanza anche in caso di stupro o di incesto. Sull’altro fronte, gli elettori di California e Oregon hanno respinto la richiesta di rendere obbligatoria la notifica ai genitori degli aborti praticati su ragazze minorenni. È il federalismo dei diritti civili, sorta di giacca su misura dove i singoli Stati lavorano come sarti per fare un bavero più o meno ampio o maniche più o meno larghe.
Nei Paesi federali funziona così. Anche se in Svizzera, tuttavia, la tendenza è diversa: Berna ha sempre più peso e meno spazio è lasciato all’autonomia cantonale. In materia di aborto negli anni Settanta i Cantoni più «liberali» erano soltanto sei mentre nel 2002 solamente in tre era ancora difficile abortire. Poi è entrata in vigore la nuova legislazione federale, valida per tutti: entro le prime 12 settimane la donna ha diritto di decidere se interrompere o meno la gravidanza. E questo vale a Zurigo come nel Canton Zugo.

Ogni tanto associazioni antiabortiste alzano la voce, ma sempre a livello nazionale. L’ultima volta in gennaio, quando l’organizzazione «Mamma» ha provato a chiedere di stralciare l’aborto e l’embrioriduzione dal catalogo delle prestazioni dell’assicurazione malattia di base.

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