La capitale del calcio inglese

LondraLa storia si ripete, a distanza di 39 anni. Correva la stagione 1971-’72 quando le due squadre di Manchester festeggiavano il capodanno a braccetto, in vetta al campionato inglese. Un’annata non propizia però né per lo United né per il City, che chiusero rispettivamente al quarto e ottavo posto. Anche allora, come quest’anno, l’equilibrio e l’incertezza condizionarono la corsa al titolo se è vero che tre squadre finirono staccate un solo punto dal Derby County di Brian Clough. Un epilogo difficilmente ripetibile a maggio perché anche i bookmakers ormai sono convinti che dietro i favoritissimi Red Devils, ancora imbattuti dopo 19 partite, i Citizens di Mancini siano la più credibile rivale al pari dell’Arsenal. Lo confermano anche i numeri: nelle ultime sette giornate, da dicembre in poi, i due club “mancunians” hanno accelerato, 19 punti per Ferguson, tre in meno per i Citizens. Certo, lo United ha due partite da recuperare rispetto ai cugini, e lo scontro diretto (13 febbraio) in casa.
Ma per la prima volta, nel suo recente passato, il City non è più costretto a mangiare polvere, accontentandosi di rari scampoli di gloria cittadina. Gli enormi investimenti dello sceicco Mansour, che dall’agosto 2008 ad oggi ha iniettato nel club oltre 630 milioni di euro, cominciano a pagare dividendi. Non certo economici, ma in termini di vittorie e punti. E il divario, sportivo ma non solo, lentamente va assottigliandosi. Lo dimostrano anche gli ultimi dati finanziari che indicano come le due società assieme sommino entrate pari ad un quarto del totale della Premier League (470 milioni). Manchester nuova capitale del calcio inglese, dunque. Non solo grazie al tempio dei sogni, l’Old Trafford, ma anche all’attivismo dei cugini rumorosi. I superbi “parvenu“ che non vincono nulla da 34 anni e che, in bacheca, possono vantare solo due titoli nazionali. L’ultimo dei quali addirittura datato 1968. Spiccioli rispetto al blasone dello United che - solo per limitarsi alle gemme più preziose – conta 18 titoli nazionali e tre coppe campioni. Addirittura imbarazzante il confronto se riferito ai soli anni di Premier League (prima stagione 92/93): mentre i ragazzi di Ferguson inanellavano 11 dei 18 titoli in palio, il City faceva su e giù dalla seconda divisione fino al quinto posto dello scorso anno (miglior piazzamento).
Prove inconfutabili di una diversa dimensione sportiva, ancora più evidente negli scontri diretti: 65 vittorie per lo United, solo 42 per il City. Eppure oggi le due Manchester corrono per lo stesso traguardo, nonostante le cautele di Mancini. L’obiettivo dichiarato resta la qualificazione in Champions League, anche se lui stesso ha ammesso che a fine gennaio le prospettive potrebbero diventare più allettanti. Anche così si spiega il crescente nervosismo di Ferguson che dopo aver definito il City «un piccolo club arrogante e provinciale», ora è costretto a guardarsi le spalle. Inevitabilmente. Perché se lo United due estati fa ha dovuto vendere il suo giocatore migliore, Cristiano Ronaldo, per fare cassa, il City continua a spendere senza remore. A breve arriverà Edin Dzeko, ennesimo tassello di un puzzle di fuoriclasse.

Un altro tesoretto da 35 milioni sacrificato per soddisfare le ambizioni saudite. In palio non c’è più la sola supremazia cittadina, gli orizzonti di potere del City sono destinati a sbattere contro con quelli dello United.

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