«Una capitale dell’innovazione e della ricerca»

Rocco Bottiglione, nato a Gallipoli, classe 1948, politico e filosofo italiano, vice presidente della Camera dei Deputati, presidente dell'Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro. Ci parla di cultura, di politica, di fede e di Milano.
Presidente, il suo maestro Augusto Del Noce profetizzava la fine del comunismo, e così è stato, e l’entrata in crisi dell’opulenza capitalistica. Qual è la terapia?
«Una rinascita nazionale e cristiana. Comunismo e capitalismo erano uniti nell’immaginare una società fondata sul funzionamento di un meccanismo, politico ed economico, che si realizzava partendo dai bisogni elementari degli uomini e saltando il livello della cultura, ridotta a sovrastruttura dell’economia nel marxismo o degradata a prodotto di massa nel capitalismo. Questi due miti sono crollati. Il mondo di oggi infatti è un mondo che vive una ripresa forte di identità religiose e di identità nazionali, cioè di identità culturali. Nel profondo della società è in corso la rievangelizzazione dell’Europa così come degli Usa, e gli attacchi della mezza cultura dominante diventano tanto più frenetici quanto più disperati. C’è anche una domanda forte di una identità nazionale credibile; questa però può essere ritrovata solo all’interno della dimensione europea».
La Diocesi di Milano è sempre retta da grandi presidi. Un ricordo del cardinal Martini e di Tettamanzi?
«Di Martini voglio ricordare il grande impegno profuso nel dialogo con i non credenti. Egli aveva ben viva l’idea patristica dei “semina verbi”: la stessa idea che Giovanni Paolo II ha rilanciato a livello mondiale con le famose giornate di Assisi. Nell’attività di Martini si legge anche un’altra dimensione di questa idea più storica, legata a Milano e all’Italia. Nell’epoca della secolarizzazione i milanesi non possono più essere trattati come un popolo cristiano, ma nemmeno come un popolo pagano e perduto. Il confine tra fede ed incredulità passa nel cuore di ogni singolo uomo e ad ogni singolo uomo la Chiesa deve parlare con le parole ma soprattutto con la presenza di carità operosa e fattiva, soprattutto nei momenti centrali dell’esistenza. Di Tettamanzi voglio sottolineare l’impegno in difesa della vita e dei poveri, un impegno costante e continuo, che non ha tregua e va nel profondo».
Secondo lei i cattolici italiani come si dovrebbero comportare nel nuovo scenario politico italiano che è mutato e muta in continuazione?
«Accennavo prima al fatto che è in corso in profondità una nuova evangelizzazione del Paese. Nascono nuovi movimenti di fede viva; c’è una ripresa di vivacità e di forza della vita parrocchiale; c’è un contributo enorme dato al volontariato ed una impressionante presenza nel sociale. Tutto questo preme ai confini della politica ma non riesce a varcarli. È un po’ come l’Opera dei Congressi ai tempi di Don Sturzo. Don Sturzo si propose allora di fare un partito che laicamente tentasse di dare voce a questo popolo cristiano e di rappresentarlo politicamente. Oggi, in un mondo cambiato, è il tentativo che deve fare il partito nuovo che stiamo formando a partire dall’Udc. Non abbiamo pretese di esclusività: saremo lieti se altri faranno un tentativo analogo in altre direzioni, ma non vediamo molti soggetti che condividono questo giudizio».
Come immagina il futuro culturale di Milano?
«Milano ha gli strumenti per diventare una delle capitali europee della ricerca scientifica. Occorre un miglior coordinamento delle università cittadine e una più forte apertura alla collaborazione con Torino da un lato e Genova dall’altro. Quello che era una volta il “triangolo industriale” può rinascere adesso come triangolo per la innovazione e la ricerca. Ma Milano con l’area vicina è anche una grande città d’arte. Questa vocazione è stata un po’ messa in ombra prima dalla predominante preoccupazione industriale e poi dalla trasformazione di Milano in città del “terziario avanzato”. La cultura del capoluogo è anche una cultura della accoglienza e della solidarietà: Milano è stata capace di integrare ed accogliere centinaia di migliaia di immigrati che, nel tempo, sono divenuti milanesi. Per integrare, però, è necessaria una città forte, quindi consapevole ed orgogliosa della propria identità. Milano poi è città della musica. Certo, c’è la Scala, ma bisogna scommettere sulla riuscita del tentativo di darle, con il Lirico, un altro grande teatro».
Cosa la lega a Milano?
«Don Luigi Giussani. L’ho incontrato quando ero un ragazzino molto lontano da Milano, a Catania, dove lui veniva a ravvivare gli inizi di Gioventù Studentesca, il movimento da lui fondato che si era diffuso rapidamente in tutta la penisola. L’ho conosciuto meglio qualche anno dopo quando insieme con alcuni amici fondai Gioventù Studentesca a Torino. Catturava il cuore la sua disarmante semplicità umana; il modo in cui parlava di Cristo come di una presenza vivente; la capacità di immedesimarsi nei problemi di noi giovani e intanto di parlare della fede. Ricordo via Statuto 2, la sede di “G.S.” e gli amici che con la loro presenza hanno segnato la mia vita. Ricordo via Pisacane dove abitavo insieme con mia moglie e dove è nata la mia prima bambina...

Don Giussani era profondamente lombardo ed era facilmente riconoscibile in lui l’eredità della chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo, la concretezza di una fede che genera un modo nuovo di vivere e che apre a una fratellanza con tutti. È questo un tratto saliente del carattere milanese e sarebbe un peccato se nella nostra generazione dovesse andare perduto».

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