CARA CESARA, PROVA CON I SANDALI

Chissà se in estate, col caldo, Cesara Buonamici porta i sandali. Di sicuro le farebbero comodo. Se non altro per contare. Visto che per arrivare fino a un numero di impressionanti dimensioni come quindici non le bastano le dita delle mani, potrebbero soccorrerla, in aggiunta, quelle di un piede. Destro o sinistro in questo caso non fa differenza. Venerdì sera 5 agosto Tg5 delle 20. Uno dei titoli di testa è dedicato alla cronaca nera: «A 14 anni dalla morte di Simonetta Cesaroni forse risolto il giallo». Passa un quarto d’ora condito con le principali notizie del giorno e arriva il turno della povera ragazza assassinata. Cesarona nostra ripete pari pari: «A 14 anni dalla morte, eccetera eccetera».
Parte il servizio che rievoca il delitto di via Poma, avvenuto come viene (giustamente) spiegato in apertura, nell’agosto del 1990. Ovvero «quindici anni fa», è specificato, con una crudele, sicuramente non premeditata, allusione a chi crede che tra l’agosto del 1990 e l’agosto del 2005 intercorrano soltanto quattordici anni. Per carità, Cesara Buonamici è una delle più brave, simpatiche e spiritose giornaliste televisive: la sua colpa è lieve, non merita alcun processo, nemmeno a Un giorno in pretura e neppure a Forum. Però...
Piuttosto la Buonamici è stata, anni fa, l’involontaria apripista del cosiddetto telegiornale colloquiale. Qualcuno forse ricorderà nell’edizione del Tg5 delle 13 le sue manfrine con il compare di scrivania Emilio Carelli. «Prego Cesara», «Grazie Emilio», e viceversa, tutto un florilegio di salamelecchi, complimenti e sorrisi tra la lettura di una notizia e l’altra. Mancavano il tè e i pasticcini, certo inadatti all’ora del pranzo. Bene, quel ridicolo, tutt’altro che rimpianto rito salottiero è stato ripreso da Barbara Pedri, la bionda telegiornalista che ogni tre settimane ci appare in coppia con Giuseppe Brindisi. L’introduzione del primo servizio tocca a lei, come galateo impone. Barbarella legge con la sua bella voce (la stessa con cui la sera declama i servizi filmati dall’estero privi di inviato in loco), scandendo le parole con cura esagerata, come se si preparasse all’audizione decisiva per l’ammissione a una filodrammatica. Venti secondi e quando è quasi in apnea passa la palla a Brindisi, voltandosi verso di lui con un’invocazione quasi disperata: «Giuseppe!». Non aggiunge: «Basta, non ce la faccio più, parla tu», ma si capisce che il suo stato d’animo è quello.

Peccato che il collega, molto compìto, ma non abbastanza cavaliere, o forse restio a una conduzione troppo intima, assai raramente le ricambi la cortesia. Insomma, ci vogliono dieci «Giuseppe» per strappare un «Barbara». Che tempi.

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