Carcere per i giornalisti, è caos sulla legge

RomaLa frenata in Senato arriva mercoledì sera e ieri viene annunciata. Nel disegno di legge sulle intercettazioni non ci saranno ulteriori inasprimenti delle pene per i giornalisti, ma rimarranno quelle previste dal testo approvato alla Camera. Per nulla leggere, per la verità: arresto fino a 30 giorni e ammenda da 2mila a 10mila euro, per divulgazione delle intercettazioni anche per riassunto e non coperte dal segreto istruttorio. I giornalisti, insomma, rischieranno il carcere ma potranno evitare la condanna con un’ammenda. Se pubblicano notizie su procedimenti penali in corso avranno una multa da mille a 5mila euro.
Il relatore Roberto Centaro (Pdl) annuncia, infatti, che per «stemperare tante polemiche» ritirerà l’emendamento del governo che, oltre ad innanzare tutte le pene, rendeva inevitabile l’arresto e prevedeva la sospensione temporanea dalla professione.
La decisione è stata presa in una riunione con il Guardasigilli Alfano e il presidente della Consulta Giustizia del Pdl, Ghedini, «con l’accordo di Berlusconi». «Galera non se ne farà mai nessuno», assicura Centaro.
La maggioranza ha intenzione di ridurre anche le sanzioni per gli editori, già approvate dalla Commissione giustizia. Ma lo farà con un emendamento in aula, che ricalcherà quello Della Monica (poi ritirato dal Pd) per dimezzare l’ammenda minima. Così, diventerebbe 25.800 e non 64.500, ma la massima rimarrebbe 464.700 euro.
Mentre esplodevano le proteste non solo dell’opposizione ma delle associazioni di giornalisti ed editori, dell’Anm e della Procura nazionale Antimafia, lavoravano ai fianchi di Pdl e Lega anche i finiani, perplessi su alcune parti del provvedimento. E dal Quirinale non pochi dubbi.
La giornata, o meglio la nottata, decisiva sarà quella di lunedì. «I lavori cominceranno alle 21,15 - spiega il presidente della Commissione Giustizia, Filippo Berselli - e proseguiremo ad oltranza, anche fino al mattino se necessario. Voteremo tutti i residui emendamenti. Sarà uno sforzo titanico, in questa terza seduta notturna, ma arriveremo certamente a conclusione. E martedì pomeriggio, nella seduta dei capigruppo, il ddl potrà essere incardinato per l’aula».
L’ammorbidimento del centrodestra, però, non basta quasi a nessuno. Per Anna Finocchiaro del Pd il testo rimane «inaccettabile», durissimo come al solito Antonio Di Pietro: «È l’ennesimo tentativo di mercanteggiamento del venditore ambulante Silvio Berlusconi». Anche l’Udc, che parla di «buon passo indietro», lo vede finalizzato a superare le «spaccature nella maggioranza». Mentre la Lega resta defilata, non risparmiano critiche alle «forzature» della legge diversi finiani, da Bocchino a Granata. Quest’ultimo, va al congresso della corrente di sinistra delle toghe, Magistratura democratica, per assicurare che il parlamento difenderà l’indipendenza della magistratura. E indica tre punti da cambiare: «Il doppio binario sulle indagini di mafia, allargarlo ai reati collegati e non bloccare le intercettazioni ambientali». Anche la possibilità di pubblicare i riassunti delle indagini, secondo il testo della Camera voluto dalla Bongiorno, per lui va salvaguardata. E il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, dice che «non bisogna limitare la libertà di stampa».
Le toghe sono già da tempo sulle barricate, contro queste norme che, dice il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini, «sono solo sabbia negli ingranaggi delle indagini». Diversi magistrati in prima fila contro mafia e camorra, usano parole pesanti e invitano i colleghi alla mobilitazione.
Anche il mondo dell’informazione si fa sentire.

Sky vuole ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo, per violazione del diritto all’informazione e chiede un intervento a tutte le autorità internazionali competenti. Molti direttori delle principali testate, da Riotta del Sole 24 ore a Tarquinio di Avvenire e Sechi del Tempo, criticano il ddl. Una battaglia trasversale, dall’ Unità al Secolo.

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