Luca Rocca
Lhanno tenuto cento giorni in galera perché aveva rapporti con un mafioso, che tale è risultato non essere. Lhanno torchiato per una telefonata con un boss quando in realtà allaltro capo del filo cera un amico di famiglia che aveva il torto di chiamarsi (solo il nome, non il cognome) come il presunto capocosca di Marsala. Sono riusciti a ipotizzare unalleanza con la criminalità organizzata e far finire nel processo finanche il nome dellex presidente della Camera, Pierferdinando Casini, solo per una chiacchierata col padre in merito a un incontro a Roma con il leader dellUdc per una possibile candidatura alle politiche.
Cè di tutto nel calvario di Davide Costa, deputato regionale siciliano dellUdc, quattro mesi di galera con laccusa di concorso esterno in associazione mafiosa e recentemente prosciolto dal gup Antonella Pappalardo perché «il fatto non sussiste». Cè la storia di un uomo che se non è morto di crepacuore - stando agli avvocati Pietro Milio e Gioachino Sbacchi - è solo perché non ha smesso un giorno di pregare la Madonna affinché illuminasse la procura che sera convinta di un suo asservimento totale alla mafia per il tramite di un altro presunto uomo donore, Davide Mannirà, suo amico dinfanzia, che in un processo parallelo veniva intanto assolto dallaccusa di far parte di Cosa Nostra.
Processualmente parlando, Davide Costa riceve un avviso di garanzia (aprile 2005) e prima di finire in galera si dimette dalla carica di assessore regionale mettendosi a disposizione dellautorità giudiziaria. Che il 15 novembre lo spedisce in galera dove ci resta per quattro mesi. I pm della Distrettuale Antimafia di Palermo che al processo arriveranno a chiedere una condanna a cinque anni, sono convinti che Costa ha versato somme di denaro a esponenti mafiosi in cambio dellappoggio nella campagna elettorale del 2001. Si dicono certi anche che lindagato ha interferito nella gestione dellamministrazione del comune di Marsala proprio nellinteresse di una famiglia mafiosa della zona. Ma le accuse crollano il 19 dicembre 2006, giorno dellassoluzione. Davide Costa, dunque, non ha mai versato 100 milioni ai boss per assicurarsi il sostegno elettorale e non si è mai adoperato per convincere il Banco di Sicilia a concedere un mutuo di 300mila euro allonnipresente Davide Mannirà (il mafioso non mafioso).
Rileggendo gli atti del processo ci si accorge che il castello accusatorio su Davide Costa dà i primi segni di cedimento nel mese di febbraio, quando proprio Mannirà viene assolto dallaccusa di associazione mafiosa. Lesponente dellUdc si ritrova così sotto processo anche per essere colluso con un innocente. Il paradosso non è il solo se si dà una sbirciatina al drammatico (per Costa) interrogatorio del 29 aprile del 2004 nel quale i pubblici ministeri incalzano il deputato regionale incorrendo in un infortunio senza precedenti.
Senza temere smentite il Pm si rivolge secco allindagato: «Onorevole, quandè lultima volta che ha sentito Davide Mannirà?». Costa, che pure non ha mai negato di conoscere quelluomo, risponde: «Lultima volta in aeroporto». Il Pm insiste, ricalca la domanda, scandisce le parole: «Onorevole, quandè lultima volta che ha sentito Davide Mannirà?». Costa sembra sorpreso, si guarda intorno spaesato, timidamente chiede al Pm: «Se lei mi dice, mi dà una data, io dico che è vero, perché non lo ricordo». «No - lo interrompe il Pm - me lo deve dire lei», ma Costa per altre due volte, balbettando, ribadisce di non ricordarselo. A quel punto il Pm tira fuori lasso per chiuder la partita: «Allora glielo dico io, questa soddisfazione i colleghi me la permetteranno: alle 21.20 del 28 aprile 2004, che ne dice?». Costa è senza parole. Nei suoi ricordi non cè traccia di quella telefonata. Supplica con lo sguardo i suoi avvocati, sorpresi quanto lui. Poi qualcosa riesce a dire: «Il 28 aprile ho sentito Davide Mannirà? Ieri sera?». Sì, ieri sera. Il Pm è sicurissimo, non demorde. «Sì, e prima il 26 aprile 2004 alle 12.43», attacca. Lindagato si sente morire, le gambe tremano. Ormai parla da solo: «Io ieri sera ho sentito Davide Mannirà?». In aula cè scompiglio. La procura sa di aver assestato un colpo decisivo, la difesa è spiazzata, chiede una pausa. Ai suoi avvocati che gli dicono di far bene mente locale, Costa prende il telefonino, digita alla voce «chiamate» e trova effettivamente un numero. «Signor giudice è questo il numero, 329-055(
)?». Il Pm non si scompone, anzi: «Noi aspettiamo quello che dice lei, lei ha chiamato ieri questo numero». Vero. Costa non sa se ridere o piangere: «Intanto dico che questo numero è di Davide
Durante, che mi ha chiamato fino a ieri sera».
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.