TrevisoLa Caritas di Vittorio Veneto sembra poco caritatevole. Addirittura qualcuno ha insinuato che ci sia una specie di parentela politica niente meno che con Giancarlo Gentilini, nato proprio da queste parti ma diventato sceriffo leghista a Treviso, dove faceva togliere le panchine perché non potessero sedersi gli immigrati fannulloni. «Cari stranieri disoccupati, tornate a casa». No, non è lo sceriffo Gentilini a parlare così, ma monsignor Ferruccio Sant, direttore della Caritas di Vittorio Veneto, che alla Tribuna di Treviso ha dichiarato la sua caritatevole resa di fronte alla recessione che sta spazzando via diverse piccole e medie imprese del Nordest.
«Non mi resta che invitarli a tornare a casa - ribadisce mons. Sant -. Sono sempre di più quelli che vengono qui a bussare, con le famiglie, perché non hanno più soldi per pagare le bollette, per le rate dei mutui. Non so più come rispondere. Noi abbiamo la possibilità di fare dei micro crediti, fino a 3 mila euro. Ma molti chiedono di più. Proprio allultima famiglia che è venuta da me non ho saputo trovare un consiglio migliore: tornatevene a casa».
Il caso della Ape srl, lazienda di Refrontolo che al 12 gennaio ha tenuto chiusi i battenti lasciando a casa 90 dipendenti, il 40 per cento dei quali extracomunitari, è emblematico di quel che sta succedendo a queste latitudini. Ovvio, i problemi non ce li hanno solo gli immigrati, visto che i veneti perdono il lavoro nello stesso modo e nella stessa misura. Ma Sant è stato anche missionario tra gli emigranti italiani in Francia e capisce i problemi del genere. «Cè gente che è qui da diversi anni e ha arretrati ingenti - osserva il direttore della Caritas - e arriva a chiedere 5 o 10 mila euro per chiudere i debiti».
Tornate a casa, dunque, non è una cacciata razzista e senza cuore. Tuttaltro: è un consiglio che viene proprio dal cuore, dalla consapevolezza, forse, che questa crisi non passerà tanto in fretta e che anche nelle terre del Nordest, dipinte come enclave di ricchezza e sviluppo, la festa è finita. Succede allora che la Caritas di Vittorio Veneto venga incontro allimmigrato e alla famiglia: i soldi per il biglietto aereo, qualche ulteriore contributo per ricominciare daccapo nel paese da cui erano fuggiti per cercar fortuna. Fortuna che, evidentemente, non è stata trovata.
Di fronte allo sconsolato, ancorché misericordioso, intervento della Caritas di Vittorio Veneto, diventano pepite di saggezza le parole spese, e solo pochi mesi fa respinte con sdegno dal panorama della sinistra politica e sindacale, da Paolino Barbiero, segretario della Cgil di Treviso. «Non possiamo più accettare nuovi ingressi di stranieri fino a quando non saranno collocati quelli lasciati a casa dalle aziende».
Evidentemente Barbiero aveva sotto mano la situazione occupazionale della Marca e aveva intuito che allinizio dellanno molti immigrati, anziché trovare il consueto posto di lavoro, sarebbero stati costretti a bussare alle porte di monsignor Sant. E, peraltro, era più o meno quello che diceva il ministro leghista, Roberto Maroni. Eppure alla sensata richiesta di Barbiero risposero in molti stracciandosi le vesti. Quasi per rimediare, Emilio Viafora, segretario della Cgil del Veneto, scrisse una lettera al cardinale Angelo Scola, in cui esprimeva preoccupazione per i diritti degli stranieri e chiedeva al porporato di «farsi promotore di una carta di principi, per sconfiggere fondamentalismi di ogni genere ed affermare la cultura della tolleranza».
Un paio di mesi dopo arriva la riposta, concreta, non certo intollerante, di monsignor Sant. Una risposta che conferma la tesi di Barbiero e che è costretta a prendere atto di una situazione economica molto più grave del previsto che non sarà certo risolta con generiche frasette buoniste di circostanza.
Treviso è la provincia del Triveneto con il più alto numero di immigrati: secondo i dati della Cgia di Mestre, essi costituiscono il 10,1 per cento della popolazione: seguono Verona e Vicenza con il 9,6 contro una media regionale dell8,4. Ora con la crisi lo scenario è diventato preoccupante.
Ad Arzignano (Vicenza), per esempio, gli immigrati, licenziati dalle concerie alle prese con la crisi più grave della storia, hanno già cominciato a spedire a casa mogli e figli e ora stanno prendendo in affitto un appartamento in cinque per ridurre le spese e per tirare avanti. In attesa che passi, se passa, la nottata.
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