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Carlo Magno padre della Ue? Neanche per sogno

Carlo Magno nacque due volte. La prima (nascita biologica) data al 742. Il dove, non si sa. Da qualche parte, tra la Mosa e la Mosella, tra Mertz ed Herstal, tra Francia e Belgio. La seconda (mitologica) cadde alla domenica di Pentecoste dell’anno 1000.
Su questo evento abbiamo informazioni di prima mano. Un testimone racconta che Ottone III, imperatore del Sacro Romano Impero, in visita ad Aquisgrana, non resistette alla tentazione di trasformarsi in un Indiana Jones del medioevo. Armato di piccone, spaccò il pavimento della basilica. Cercava la sepoltura del suo predecessore, Carlo. Quello di Ottone non era amore dell’archeologia, ma del potere. Avesse scovato la spada, la leggendaria Joyeuse, se ne sarebbe servito come simbolo di forza del suo trono. Abilità o fortuna, la tomba fu scoperta. Fu il primo ciak di un polpettone mitologico che resse la scena per secoli. Un tocco di macabro. Carlo sarebbe apparso allo scopritore seduto in trono. Si scoprì più tardi che in quandam cathedram, «come se fosse in cattedra», l’espressione usata dal cronista, significava ben altro: il defunto giaceva ammantato da vescovo, con i paramenti e la croce pettorale. Le unghie del morto erano cresciute fino a bucare i guanti cerimoniali: perfino il cadavere di Carlo era possente di vita. Nel sotterraneo aleggiava una fragranza santa. La salma intatta. Tranne nella punta del naso, dissolta. Ottone la restaurò in oro. In cambio si prese un dente, utile reliquia. E annunciò che quella era la Pasqua, la resurrezione di Carlo Magno. Tutto combaciava. L’anno mille funzionava da scadenza messianica. Carlo si era già proposto da sé come secondo Cristo, quando a Gerusalemme si era seduto al posto di Gesù, nella casa dell’Ultima Cena, tenendosi intorno i suoi dodici paladini come fossero apostoli. Era stato lui ad aggiungere «Sacro», cioè Cristiano, al marchio del suo impero. Da queste scoperte, il successore Ottone traeva vantaggi mediatici. Invece districare realtà storica ed egoistica finzione nel personaggio Carlo è un’impresa da titano della critica. Ci prova, con risultati eccellenti e godibili, Georges Minois, Carlo Magno, primo europeo o ultimo romano (Salerno Editrice, pagg. 550, 29 euro). Si noti che il sottotitolo italiano non è interpunto come domanda. È una formula pertinente. Non esprime un quesito, rispondendo al quale si rischia di precipitare di nuovo nel gorgo delle interpretazioni partigiane. Propone, invece, due dei maggiori filoni interpretativi, lasciando intendere, e dimostrando nelle pagine, che a questi se ne affiancano molti altri.
Per gli umanisti, Carlo era l’epigono di Roma, restauratore della cultura (lui, re barbaro che maneggiava meglio la lama che la penna); per i fan dell’Europa, è il primo unificatore. Nel 2008, il Parlamento europeo istituisce il premio «Carlo Magno» per giovani impegnati in progetti legati all’integrazione. Non a caso, in un referendum svoltosi nel Regno Unito sul personaggio ritenuto dal pubblico emblematico dell’Europa, Carlo è maglia nera, un 2% dei consensi che lo dà molto alle spalle di Shakespeare e di Newton. In consultazioni demoscopiche dello stesso tipo, il figlio di Pipino non entra neppure nella top twenty, in cui appaiono la Thatcher, lady Diana e Silvio Berlusconi, complice, secondo Minois, lo smantellamento delle conoscenze storiche prodotto dal degrado scolastico. Per ridare smalto e credibilità al suo soggetto Minois mette in campo la filologia storica bene affilata.
Chi fu il vero Carlo? Un guerriero, un uomo di ferro, per citare il biografo antico Notkero, di cui però, in mezzo secolo di sanguinarie campagne, non si può citare una sola vittoria, mentre fa testo una disfatta, Roncisvalle.

Era un pragmatico, un amministratore di buon senso, rafforzò il sistema, senza inventare nulla. Morto lui, il suo castello di carte si frantuma. L'Europa? Non ne conosceva neppure il nome. Il Carlo dei miti, vince sull'uomo della storia, ma solo nell'immaginazione di chi è interessato a farne una bandiera.

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