Convertitosi al cattolicesimo la notte di Pasqua, Magdi Allam è andato incontro al singolare destino di vedersi criticato, nel giro di una sola settimana, da tutti: cattolici, laici e musulmani.
L’ultima critica è arrivata ieri dalle colonne de La Stampa, con un intervento pacato nei toni ma duro nei contenuti di Afef Jnifen. Musulmana «non praticante», da anni italiana, Afef ha scritto di rispettare ogni conversione, ma accusa Allam di usare toni e argomenti che producono il solo risultato di infiammare lo scontro di civiltà. Ad Allam vengono contestate in particolare le frasi pronunciate per motivare la sua conversione: ha definito l’islam intrinsecamente intollerante e violento.
Molti altri hanno criticato anche la modalità della conversione, e cioè il battesimo ricevuto dal Papa in mondovisione. Alcuni cattolici progressisti - come Franco Monaco del Pd - si sono detti scandalizzati; mentre un laico come Sergio Romano vede una precisa strategia vaticana che si collega al famoso discorso di Ratisbona che fece infuriare il mondo islamico.
Queste ultime sono osservazioni di cui fatichiamo a comprendere il senso. Allam è un personaggio pubblico: si fosse fatto battezzare in una parrocchia di periferia, prima o poi lo si sarebbe venuti a sapere, a meno che non si voglia sostenere che la conversione doveva restare segreta (e perché?). Quanto poi alla strategia vaticana, saremo ingenui, ma siamo convinti che la Chiesa, e tantopiù questo Papa, ragionino con categorie ben diverse da quelle della politica e della diplomazia. Benedetto XVI ha fatto benissimo a battezzare Allam in quella circostanza: e i cattolici che non lo capiscono sembrano quasi vittime di una sorta di sindrome di Stoccolma che li porta sempre a sostenere le tesi dei «nemici».
Diverso è invece il discorso sulle espressioni che Magdi Allam ha usato nei confronti dell’islam nelle interviste successive al battesimo. Qui le perplessità sono in parte anche nostre.
Fuori da ogni ipocrisia - e da ogni tentazione di politically correct - è certamente vero e verificabile che il mondo islamico nel suo complesso manifesta intolleranza, e a volte reazioni violente, da secoli estranee al mondo cristiano. Nella Chiesa non si condanna a morte chi si converte a un’altra religione o chi scrive romanzi considerati blasfemi. Tuttavia l’islam - lo ha ricordato un insospettabile come Vittorio Messori sul Corriere della Sera - non è solo quello della fatwa e della guerra santa.
È possibile che Magdi Allam - al quale dobbiamo senz’altro concedere il beneficio della buona fede - sia condizionato dal fatto di vivere come un recluso: è anch’egli condannato a morte, non dimentichiamolo. E poi, probabilmente il suo argomentare è condizionato anche dal tipico entusiasmo del neofita, quella «passione di convincere» che come diceva Pascal è propria dei convertiti.
Però è vero che sono apparse stonate quelle sue parole sulla religione che viene abbandonata per una nuova. Anche perché non si passa da una fede all’altra per motivazioni culturali o sociali o politiche: si passa a un’altra religione per il solo motivo che la si ritiene vera. In poche parole: si diventa cristiani non perché si crede che l’Occidente sia meglio del mondo islamico, ma perché si crede che Cristo sia risorto. È di questo «dettaglio» che non s’è parlato, in questi giorni. Eppure, è l’unico «dettaglio» veramente decisivo.
La scoperta dell’avvenimento cristiano e la consapevolezza di aver ricevuto una grazia avrebbero dovuto suggerire a Magdi Allam di manifestare più la sua gioia per la nuova vita che una polemica nei confronti della religione da cui proviene. Ci permettiamo di dirglielo.
Michele Brambilla
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