C'è poco da minimizzare e da sottilizzare. Duecento poliziotti feriti sono la prova inconfutabile della prevalenza criminale in Val di Susa, dove l’Alta velocità è stata parificata al demonio. È ridicolo il tentativo di addossare la responsabilità della cruenta sommossa a 300 infiltrati nella manifestazione anti Tav. Eppure, senza guardare in faccia la realtà, la sinistra e la stampa che simpatizzano con i protestatari hanno detto e scritto: non bisogna confondere i violenti capaci di tutto (e buoni a nulla), anche di trasformare in guerriglia una dimostrazione di dissenso, con i valligiani contrari alla ferrovia.
I fatti certificano stavolta, come sempre in questi casi, che quando si va in piazza o in corteo (anziché nelle sedi democraticamente ortodosse) per esprimere opinioni contrarie alle decisioni legittime assunte da rappresentanti pur sempre eletti dal popolo, la brava gente finisce per mescolarsi con i delinquenti cosicché diventa impossibile distinguere la prima dai secondi. Contano i risultati. E i risultati di domenica sono lì da valutare. Nello scontro fra i difensori dell’ordine pubblico, pagati una manciatella di euro per fare un duro mestiere, e la bolgia No Tav ci hanno rimesso quelli che stavano per dovere dalla parte della legge.
Il codice consente di parlare, gridare, opporsi e disapprovare con ogni mezzo pacifico, ma vieta il ricorso ad armi improprie. I criminali invece hanno lanciato bombe all’ammoniaca con l’intento di far del male a chiunque sbarrasse loro il cammino. E ci sono riusciti, sfregiando numerosi agenti. Un disastro programmato nei dettagli. E chi, volontariamente o no, ha fornito loro una copertura con la propria partecipazione alla marcia non può ora chiamarsi fuori e giustificarsi affermando di non aver saputo che nel mucchio dei manifestanti c’erano dei facinorosi. Figuriamoci. Nessuno era ignaro che nella folla dei No Tav si celassero, pronti a scatenarsi, centinaia di provocatori specialisti in botte da orbi.
Ieri il nostro titolo, «Si scrive No Tav, si legge Br», è stato criticato dai soliti soloni, secondo i quali le Brigate rosse erano serie, mentre i nuovi esaltati sarebbero dei fessacchiotti. Nulla da eccepire sui fessacchiotti, ma i brigatisti non erano affatto seri. Tant’è vero che non appena lo Stato si degnò di combatterli, e ne arrestò un paio, tutti calarono le brache, chi pentendosi, chi dissociandosi subito allo scopo di usufruire degli delatori e denunciassero i «commilitoni».
Basti pensare che Nicola Cava-liere, funzionario di straordinaria abilità poi nominato vicecapo della Polizia di Stato, in una notte arrestò, tenendo per un orecchio tale Viscardi, mezza Prima linea, che del terrorismo era la punta di diamante. Il fondatore di questo gruppo di fuoco, tre giorni fa, in uno splendido articolo- confessione, ha ammesso papale papale: «Agivamo in base a teorie di cui non sapevamo un cazzo». Ecco. Lo spirito che animava il cosiddetto Partito armato era lo stesso che anima i No Tav: l’ignoranza e la presunzione. Converrà il lettore: se era da idioti sanguinari uccidere magistrati, professori e giornalisti per conquistare il Palazzo d’inverno, è parimenti da imbecilli ferire centinaia di poliziotti per costringere il governo di centrodestra a sospendere la realizzazione di una strada ferrata che è stata progettata e finanziata da un governo di centrosinistra.
Vi pare normale mobilitare una valle e vari commando di spaccamonti con la vocazione di assassini per fermare un treno? Solamente in Italia può accadere che l’Alta velocità - funzionante dovunque sia giunta la civiltà- anziché essere salutata con gioia, quale simbolo di modernità finalmente acquisita, venga boicottata con forza rabbiosa quasi fosse portatrice di chissà quali sciagure. Se lo stesso ragionamento sballato dei No Tav fosse stato fatto un secolo fa dai nostri avi, il Belpaese non avrebbe ancora alcuna rete ferroviaria. E che dire degli aerei che sorvolano le città del Nord e del Sud? Vanno aboliti perché disturbano il riposo dei verdi, degli arancioni e dei viola? C’è un forte desiderio di tornare al calesse? Che dovrebbe fare il premier Silvio Berlusconi? Promuovere una campagna affinché il traino animale sostituisca quello a motore?
La presa di posizione di molti politici, dopo i fattacci di domenica in Val di Susa, ha dato sollievo all’opinione pubblica. Dal presidente Giorgio Napolitano in giù, quasi tutti i leader sono stati tempestivi nel sottolineare l’inaccettabilità della violenza di cui sono rimasti vittime gli agenti. E ciò è motivo di consolazione e di speranza. Ma fino a un certo punto. Perché non siamo convinti, per esempio, della buona fede di Pier Luigi Bersani.
Al quale chiediamo con rispetto: come mai il Partito democratico locale si era schierato, solo una settimana fa, a fianco dei nemici del treno? Non pensa che sia necessario spiegare come mai il Pd dice una cosa a Roma e invece lassù, sulle Alpi, ne dice e ne fa un’altra?Poco fiduciosi, attendiamo risposta.
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