Ti prego Roberto appellati a tutto ma non all’Onu. Le poche volte che mi è capitato di parlare con Saviano mi ha colpito la sua disponibilità. È una persona che stimo, anche quando gli altri mi dicono che si atteggia a martire o eroe. Non penso sia così. È passato qualche anno e da allora lui vive nascosto. Questo magari ti cambia. Non lo so. Non posso saperlo. Non ho scritto quello che ha scritto lui. Gomorra mostra cosa significa vivere in una terra incancrenita. Eppure il suo editoriale su Repubblica non mi ha convinto e quasi mi spaventa. È una resa. È un’invocazione paradossale alle divinità della burocrazia, che sperano di risolvere tutto con carte bollate, chiacchiere e distintivi. Mi dispiace Roberto ma se questa è la soluzione ho più fiducia nella federazione stellare di Star Trek. Come fantascienza fa meno danni. Conosco la corruzione del Sud, il voto di scambio, il clientelismo, l’idea che se conosci un assessore regionale, il portaborse del portaborse, magari uno straccio di lavoro lo trovi. So che il voto si regala per 50 euro, per un corso di formazione o per le bollette pagate. So che la politica per molti è solo uno scambio di favori, una scorciatoia, «una strada furba per ottenere qualcosa che senza pagare il potere sarebbe impossibile raggiungere». Questa è la maledizione meridionale. Ho visto amici che hanno rinunciato ad aprire una libreria a Cassino per paura. Non volevano avere a che fare con quelli che ti bussano per riscuotere le tasse, gli esattori dell’antistato. Cassino che ancora una volta è un fronte, perché come tu sai bene dove un tempo correva la linea Gustav, lì ai piedi dell’abbazia dell’ora et labora, ora c’è un altro confine, la frontiera di Gomorra. Sono d’accordo su tutto. Ma penso che la malattia del Sud si nutra di burocrazia, di statalismo, di un sistema pubblico avido e gonfio che sovvenziona le metastasi, le fa crescere, porta sangue su sangue. Il guaio è che non possiamo chiedere aiuto a nessuno, perché non c’è nessuno.
Tu dici che servirebbero l’Onu o l’Ocse o l’Europa per garantire un voto non contaminato. Io penso che le macro-organizzazioni internazionali sono lastricate di buone intenzioni, ma hanno l’elasticità mentale della grassa regina di Alice nel Paese delle meraviglie. Non so se hai presente. Ed è questo appellarsi al formalismo burocratico che un po’ mi delude. Dire «chiamiamo l’Onu» magari è una provocazione, ma il concetto resta. È questo sperare che una dichiarazione di principio e qualche solerte megastruttura di uffici e comunicati stampa, l’esercito di vigilantes dentro l’urna e il manuale della politica corretta spazzi via la questione meridionale. È la stessa illusione che aveva il presidente Wilson, con i suoi 14 punti dattiloscritti, di mettere la parola fine a tutte le guerre. Il risultato fu che finita la prima arrivò la seconda. Scusami, ma ho l’impressione che tutto questo non basti a sconfiggere gli eserciti e gli uomini di affari di mafia, ’ndrangheta e camorra. Il tuo libro ha già fatto molto di più. Un uomo vale più dell’Onu.
Pensa che sfiga. Il Nord ha trovato bene o male una risposta politica ai suoi malumori. La Lega ha interpretato la questione settentrionale. La soluzione può non piacere, ma c’è stata. Il Sud non ha avuto neppure questo. La questione meridionale non ha mai avuto una vera risposta politica. Forse è da lì che bisogna partire. La soluzione non può essere burocratica, ma politica. Qualcosa che assomigli, come fenomeno non come contenuti, al Carroccio. Un partito anti Gomorra. Bossi e Maroni ci sono riusciti. Perché il Sud no?
Lo confesso. Non mi fido. Non mi fido delle Nazioni Unite. Racconto una cosa che mi riguarda ma che vale solo come esempio. L’Ordine dei giornalisti mi ha «processato» per un esposto contro di me arrivato dal ministero delle Pari Opportunità. Il verdetto ancora non lo conosco. L’accusa è aver scritto la parola negri, citando il titolo di un pezzo di due giorni prima a sostegno dello sciopero degli immigrati. Io difendevo gli «invisibili» e qualcuno mi segnalava come razzista. Chi? L’ho scoperto solo adesso. Tutto è cominciato con una e-mail, con posta certificata, firmata da Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr. Una sigla che già mette terrore, sembra fuggita da un romanzo di Aldous Huxley. Comunque vuol dire Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Cavolo. Non pensavo avessero tempo da perdere con me. Non credo abbiano letto il mio articolo. Si sono fermati a una parola. Non sto qui a dire che negro in italiano non ha un significato dispregiativo.
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