Una carriera nella «mobile» come il papà

Alessandro Giuliano, il figlio di Boris, all'epoca dell’omicidio del padre, aveva 12 anni. Oggi è il capo della squadra mobile di Venezia, dopo aver diretto quella di Padova, con brillanti operazioni fra le quali la cattura del serial killer Michele Profeta.
«Alessandro non ha mai rilasciato interviste - ricorda il giornalista-scrittore Saverio Lodato -. È un uomo schivo di natura che, quando entrò in polizia, ha giurato che non avrebbe mai lavorato in Sicilia». Non amava parlare del padre, ma in passato ha avuto modo di ricordarlo con queste parole toccanti: «Per me, mio padre, prima che essere poliziotto, fu un uomo. Ricordo che quando l'equipaggio di qualche volante di pattuglia nei quartieri diseredati di Palermo si imbatteva in un bambino che si era perduto, mio padre, mentre erano in corso le ricerche, spesso assai difficoltose, dei genitori, anziché tenerlo in un ufficio di polizia, lo portava a casa nostra e lo faceva giocare con noi che eravamo suoi coetanei».
Che Boris, negli ultimi giorni, avesse capito che il barometro volgeva a tempesta, Alessandro lo testimoniò al maxiprocesso.

Il padre, infatti, qualche settimana prima di essere assassinato, gli disse apertamente: «Sto facendo delle indagini sul traffico di droga che sono molto pericolose». Oggi Alessandro si limita a rispondere: «Ciò che avevo da dire sull'argomento, l’ho detto durante il processo. Non c'è motivo per ritornarci su».

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