Il caso Incarichi a peso d’oro

RomaA proposito di stipendi d’oro e di tagli per la crisi: quando si parla dei magistrati si cita sempre il Primo presidente della Cassazione come la toga più ricca, insieme al Procuratore generale della Suprema corte. I suoi 305mila euro lordi l’anno di stipendio sono, infatti, stati indicati nell’ultima manovra come tetto massimo per i manager pubblici.
Ma pochi sanno che il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia prende ben di più: cioè 500mila euro lordi.
Non basta, essendo scelto tra i magistrati è fuori ruolo ma continua a percepire anche il secondo stipendio, attorno ai 7mila euro netti al mese. E ce ne sarebbe un terzo, perché come Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria questo signore avrebbe diritto anche aduna lauta indennità aggiuntiva. Ma sembra che Franco Ionta, dal 2008 numero uno del Dap, vi abbia rinunciato. Bontà sua.
Il fatto è che una volta questa poltrona non era così ambita. Si trattava di un semplice dirigente ministeriale, ma ai tempi del governo Craxi Nicolò Amato fece valere il fatto di comandare il Corpo di polizia penitenziaria. E ottenne che questo ruolo fosse equiparato a quello di capo della Polizia, comandante generale dei Carabinieri e comandante generale della Guardia di finanza. Tutti con la stessa ricca indennità.
Amato dall ’83 guidava la Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena e la svolta venne nel 1990, con la nascita dell’attuale Dap e la smilitarizzazione del Corpo degli agenti penitenziari.
Altra data fatale è quella del 2006, quando il governo Berlusconi decise di premiare con un aumento retributivo per la sua lotta al terrorismo il capo della Polizia, Giuseppe De Gennaro. Il suo stipendio schizzò da 9mila a 19mila euro mensili e, a cascata, salirono a livelli super tutti quelli dei responsabili della sicurezza nazionale concatenati. Compreso, naturalmente, quello del numero uno del Dap, capo dei 47 mila agenti penitenziari.
Si dirà: almeno si tratta di un unico stipendio d’oro. Ma, a parte quelli dei due vice che sono parametrati al capo, si scopre che in Italia in questo momento ne beneficiano in tanti.
Perché, come magistrati, lasciano il posto fuori ruolo ma quando tornano alle loro funzioni si portano dietro il livello retributivo più alto anche in quello successivo. Amato finì il suo incarico nel 1993, dopo aver segnato la strada dorata per i suoi predecessori. E dopo di lui si sono succeduti a largo Luigi Daga altri nove magistrati che, occupando quella poltrona, hanno conquistato un beneficio a vita.


Qualche nome? Tra i più noti, uno è Giancarlo Caselli che è stato capo del Dap solo dal 1999 al 2000 ed è attualmente capo della Procura di Torino e un altro Giovanni Tinebra, rimasto in carica dal 2001 al 2006 e oggi Procuratore generale a Catania.

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