Caro Granzotto, il caso Ruby...
(seguono le argomentazioni di 33 lettori che su per giù si pongono la medesima domanda: dove andremo a finire?)
Scusate se ho, cari lettori, se ho simbolicamente compendiato le vostre pur interessanti missive e se non vi firmo uno per uno, ché solo per quello se ne andrebbero dieci righe. Dove andremo a finire? Dite pure: dove siamo finiti. Confesso, sono preoccupato. A turbare la mia quiete interiore non è certo la rassicurante figura della dottoressa Ilda Bocassini, che quando avvolta nella toga richiama limmagine stessa della spada e della bilancia, popolari metafore della Legge. Dura, magari, sed lex. Una dottoressa il cui «vissuto», per dirla in linguaggio colto, è di per sé garanzia di serenità di giudizio, di mente libera da preconcetti, di vocazione allequanimità: virtù che ogni cittadino dabbene sattende in un magistrato. Né mi turba, caso mai mintriga, il capo daccusa: istigazione alla prostituzione. Non ho alcun dubbio - ci sarebbe da metterci, a volerlo, la mano sul fuoco - che limpianto accusatorio sia a prova di bomba. È che da sprovveduto quale sono non riesco a capire come si possa istigare quella che è già una escort a fare la escort. Sarebbe come istigare allantropofagia un cannibale. Ma per tornare al dunque, la mia preoccupazione, cari lettori, ha origine nella fattispecie dell«asso probatorio» in mano alla dottoressa Bocassini ed emerso nella vicenda giudiziaria che vede Ruby nelle vesti del teste Omega bis. Se ho capito bene la Procura - non voglio pensare al tempo e ai soldi spesi per venire a capo della faccenda, sarebbe far i conti della serva, perbacco - ha seguito, via tabulati, gli spostamenti spazio-temporali del telefonino di Ruby (non di Ruby, questo è evidente: del suo telefonino) venendo a scoprire che il suddetto telefonino è entrato, sostato e uscito da Arcore tot volte per tot ore in tot giorni e tot notti. Ma il bello viene adesso: pare si sia giunti a determinare - lo attesterebbe, appunto, l«asso probatorio» - anche il se, il dove e il quando la detentrice del telefonino (o il detentore, perché no? Essendo mobile, il telefonino può passare di mano in mano e di comodino in comodino) ha commesso atti impuri. E perfino - oh stupore, oh meraviglia - con chi!
Meglio essere chiari: qui non si parla di un telefonino tenuto acceso durante latto, con conseguente ascolto e registrazione, da parte del solerte magistrato, di voci, grida, ruggiti, fruscii, gemiti e altra sorta di rumori. Inavvertenza che oltre tutto proverebbe un tubo, perché così come labito non fa il monaco la colonna sonora non fa la sarabanda sessuale (e se giocassero al dottore? A rifare la scena al ristorante di Meg Ryan e Billy Crystal in Harry ti presento Sally?). Qui si parla di un telefonino sordo e muto. Come il mio in questo momento e che guardo, ormai, con crescente diffidenza. Magari sono sotto controllo e cè qualcuno che sa cosa sto facendo. Non dico un tête-a-tête galante, sarebbe troppa grazia, ma che so, mettermi le dita nel naso; leggere di soppiatto Bersagli mobili, il pornoromanzo di Marc Saudade (al secolo, Furio Colombo); guardare una partita in tivvù e fare il tifo per la Roma, che se la voce arriva a Berlusconi mi toglie il saluto; accendermi la prima sigaretta del secondo pacchetto, roba che se un domani fossi sotto avviso di garanzia e lintercettazione fisico-ambiental-ectoplasmica finisse (ovviamente) sul Fatto, nel venirne a conoscenza mia moglie mi farebbe nero. Capito, cari lettori? L«asso probatorio» ci rivela unamarissima verità: salvo i non dotati di telefonino, ma non credo che ce ne siano poi tanti, siamo tutti nel set di un Grande fratello collettivo.
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