
da Roma
Un fantasma si aggirava tra la banda della Magliana, le Br, Cosa Nostra, il caso Moro, le gallerie d'arte capitoline, i servizi segreti. No, non è fantapolitica o la solita mania di complottismo quando si parla soprattutto del rapimento e dell'uccisione di Aldo Moro. Ma di un uomo che ha unito tutti quei punti e il cui nome, Antonio Chichiarelli, è uscito fuori solo dalla Commissione di inchiesta parlamentare sul Caso Moro. Nato a Magliano de' Marsi nel 1948 e morto a Roma nel 1984 (forse: una sera alla trasmissione Telefono Giallo qualcuno disse che era tutta una messinscena e che era scappato all'estero con un mucchio di soldi visto che è stato associato alla rapina del secolo a Roma, 35 miliardi di lire, qualcosa come 60 milioni di euro di oggi, sottratti nel marzo del 1984 nel caveau della Brink's Securmark).
Dopo il libro Il falsario di Stato. Uno spaccato noir della Roma degli anni di piombo di Nicola Biondo e Massimo Veneziani, il produttore Riccardo Tozzi di Cattleya ha messo in piedi per Netflix Il falsario, diretto da Stefano Lodovichi, scritto da Sandro Petraglia con la collaborazione di Lorenzo Bagnatori e presentato ieri alla Festa del Cinema di Roma prima della messa in onda nel 2026. Nei panni del falsario, con il soprannome Toni della Duchessa (è stato accertato che Chichiarelli, oltre a falsificare tele e documenti, sia stato l'autore del famoso falso comunicato numero 7 delle Brigate Rosse del 18 aprile 1978 che ha portato le forze dell'ordine a scandagliare il lago ghiacciato della Duchessa in provincia di Rieti alla ricerca del corpo di Moro), troviamo, completamente a suo agio con baffoni e capelli lunghi anni 70, Pietro Castellitto attorniato da un cast particolarmente azzeccato con Giulia Michelini che interpreta la sua compagna, una gallerista che gli commissione copie di quadri famosi, Edoardo Pesce è Balbo, ispirato a Danilo Abbruciati della banda della Magliana, Claudio Santamaria nei panni del Sarto, un burattinaio dei servizi segreti e Fabrizio Ferracane in quelli del mafioso Pippo Calò. "Sono anni che non ho conosciuto dice Pietro Castellitto ma un po' il clima l'ho capito anche parlando con mio padre che mi ha raccontato di quando gli amici lo chiamavano di notte dicendo che il giorno dopo ci sarebbe stato una colpo di Stato". L'attore trentatreenne che sta scrivendo il suo prossimo film da regista, sottolinea come la storia dei tre amici che, dalla provincia, si trasferiscono a Roma diventando uno appunto un falsario, un altro un sacerdote e infine uno brigatista rosso, "sia la spina dorsale della storia".
E sulla fascinazione del male, anche nel suo ultimo film da regista Enea, aggiunge: "Non ho mai conosciuto criminali antipatici, sono personaggi mossi da una grande vitalità e dalla voglia di dominare la vita, sia Enea che Toni sono dei giovani ambiziosi perché tutti abbiamo fame di vita".