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Catalogna, rivoluzione a colpi di pallone

PRECEDENTE Tre mesi fa il primo esperimento in un paesino: i sì vinsero con il 96%

BarcellonaLa Catalogna fa le prove generali di indipendenza. Ben 167 comuni catalani ospiteranno infatti domani un referendum dove tutte le persone con più di 16 anni sono chiamate a rispondere al seguente quesito: «È d'accordo che la nazione catalana diventi uno Stato di diritto indipendente, democratico e sociale integrato nell'Unione Europea?».
Secondo gli organizzatori, il referendum è destinato ad essere un successo e punta a ripetere, a grande scala, l'esperienza del piccolo paesino di Arenys de Munt, fuori Barcellona, dove lo scorso 13 settembre, quasi per gioco, si tenne la prima consultazione. Allora i sì vinsero con il 96% dei voti ed una partecipazione del 41%. Anche se non ha valenza legale, perché solo lo Stato centrale può indire una consultazione che modifichi la Costituzione, gli organizzatori guardano visibilmente al risultato simbolico. Rispetto ad Arenys, dove potevano votare 8mila persone, domani saranno 724mila i catalani che potranno dire no al «dominio» della Spagna, circa il 10% dei 7.5 milioni di tutta la Catalogna, mentre l'anno prossimo le votazioni arriveranno anche ai capoluoghi di provincia come Girona, Lleida e Barcellona.
Ma se il successo arriverà sarà anche grazie al personaggio più famoso che ha deciso di appoggiare la causa: il patron del club «nazionale» Joan Laporta. Ormai chiaramente lanciato nell'arena politica, il presidente di quel Barça che è «più di un club» e che i tifosi salutano con il «viva il Barça, viva la Catalogna» non ha lesinato benzina per il falò indipendentista. «L'indipendenza è possibile e per questo fa paura alla Spagna» ha detto giovedì in un meeting. Poi ha lanciato l'attacco: «Domenica faremo il primo passo per avere uno stato nostro». Sulla sua scia c'è anche il vicedirettore Alfons Godall che spera che il prossimo 25 aprile i seggi arrivino anche a Barcellona.
Le prove di indipendenza di una delle regioni più ricche d'Europa (con un Pil di 28mila euro pro capite, la quarta di Spagna) ha richiamato l'attenzione di tutte le regioni secessioniste del continente e oltre. In tutto saranno infatti una cinquantina gli osservatori internazionali provenienti da Scozia, Irlanda, Galles, dal Belgio, dalla Corsica, dal Quebec o da Paesi Baschi e Galizia a controllare che il voto si svolga correttamente. E la questione interessa anche il Belpaese, da dove sono già partite 10 persone in diverse delegazioni da Trentino, Friuli, Valle d'Aosta e Sardegna.
Anche se l'entusiasmo non manca, più difficile sarà trascinare l'intera regione verso la secessione. I sondaggi più ottimisti, quelli della catalana Universitat Oberta de Catalunya, credono che il 50% dei catalani voterebbe sì al referendum, sottolineando che il 29% lo farebbe perché «stanco» della Spagna. Ma un sondaggio di inizio novembre della Vanguardia afferma che i catalani difendono soprattutto la possibilità di svolgere un referendum (53% contro 39%), anche se, una volta alle urne, i no vincerebbero con il 46% contro il 35%.
A confermare il dato è anche il presidente dei democristiani catalani di CiU, Artur Mas, uno dei due partiti che, assieme alla sinistra repubblicana di Erc, sostiene apertamente il referendum. «I nostri sondaggi dicono che se si facesse un referendum in tutta la Catalogna vincerebbe il no», ha detto Mas, il cui partito è favorevole all'autodeterminazione. «Convocare il referendum evidenzierebbe che la Catalogna per il momento vuole essere spagnola», aggiunge.
Ma gli organizzatori sono determinati a provarci comunque. Per domenica sono già pronti 15mila volontari, 100 responsabili informatici per dare i dati «nazionali» dei 252 collegi elettorali già alle 10 di sera.

Se non ancora indipendenti, i catalani confermano per ora almeno la loro fama di «nazione» efficiente.

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