Catania, in coma per un’operazione al dente La moglie: "E' meglio farlo morire"

L’uomo, architetto di 42 anni, è ridotto allo stato vegetativo. E la compagna accusa: "Medici impuniti. Per lui ora voglio l’eutanasia"

Catania, in coma per un’operazione al dente  
La moglie: "E' meglio farlo morire"

Un banale semplicissimo intervento a un dente. Finito in un dramma lungo un anno. E che ora scatena polemiche e dibattiti. Quasi un nuovo caso Englaro.
«Mio marito è stato prima ucciso dalle istituzioni e poi abbandonato. Si tratta di un vero e proprio omicidio commesso dalle istituzioni. Era entrato in ospedale sano e in piena salute per fare una semplice operazione e ne è uscito in coma. Sono stata lasciata sola. Se non avrò degli aiuti concreti, delle risposte certe, io non permetterò che mio marito viva 20 anni in queste condizioni e prenderò la stessa strada della famiglia Englaro, dimostrando che questa scelta era stata esplicitamente richiesta in precedenza da mio marito che non avrebbe mai accettato di sopravvivere in queste condizioni».

Così grida senza urlare Irene Sampognaro, moglie 40enne di Giuseppe Marletta, architetto catanese di 42 anni, in coma irreversibile dal primo giugno di un anno fa, dopo un intervento eseguito dall’equipe di Otorinolaringoiatria del «Garibaldi» di Nesima, a Catania. L’uomo doveva togliere dei punti di sutura in metallo che gli erano stati applicati nel 2007 dopo l’estrazione della radice di un dente. Forse, come sostiene la famiglia, non sono state eseguite le prove ipoallergiche sulla tollerabilità alle sostanze contenute nell’anestesia.

Irene Sampognaro ieri mattina si è presentata davanti all’ingresso dell’ospedale per sfogare tutta la sua ira, ma forse e soprattutto per chiedere aiuto: «Giustizia per Giuseppe, medici assassini ancora al loro posto. Giustizia e cure negate, vergogna», si leggeva su uno striscione affisso dalla donna. «In caso di mancate risposte dalle istituzioni - aggiunge - lo porterò all’estero per praticargli l’eutanasia: questa non è vita. Io sono per la vita, ma quella vera e sono disposta a tornare indietro sulla mia decisione soltanto se lo Stato si farà carico della cura e dell’assistenza ai massimi livelli». Sulla vicenda sono pendenti due inchieste: una interna aperta dall’azienda ospedaliera Garibaldi e l’altra avviata dalla procura della Repubblica di Catania. «Mio marito - accusa ancora la donna - è stato dimenticato e il suo caso è stato insabbiato. Non ci sono indagati né alcun esito è emerso dall’indagine interna dell’azienda Garibaldi». La donna, madre di due figli, di 5 e un anno, deve farsi carico delle cure che divorano il suo stipendio di insegnante.

Suo marito è stato ricoverato per sette mesi nel Centro risvegli di Cefalù. Adesso si trova in un centro di riabilitazione, trachetoomizzato, alimentato con un sondino e affetto da piaghe da decubito.

«È in un Rsa, fra gli anziani - denuncia - ma non è certo il suo posto e poi mi devo occupare di tutto, anche dell’acquisto di medicinali. Ecco perché se continuerà l’abbandono totale da parte delle istituzioni, sceglierò la strada di Beppino Englaro. Non ha senso continuare una vita che non è vita».

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