Cavaliere, mi cacci come Santoro Buonuscita inclusa

Caro Granzotto, la vicenda che riguarda Annozero e il suo conduttore Michele Santoro dà da pensare. Da un lato, è inutile sottacerlo, c’è la soddisfazione di non vedere più in video quell’urlante tribunale del popolo con tutte le sue menzogne, esagerazioni e travisamenti della realtà che ne costituivano l’essenza antiberlusconiana. Dall’altro c’è il dubbio che togliendo Annozero dal palinsesto si sia voluta portare a termine una rappresaglia annunciata ai tempi dell’editto bulgaro e tutto ciò ai danni dell’informazione, anche se drogata e smaccatamente di parte. Stupisce poi, specie di questi tempi, l’entità della buonuscita (si parla di 10 milioni), a un dipendente che in ogni caso manterrebbe con l’azienda Rai un rapporto di collaborazione. Tutto ciò mi impedisce di dare un giudizio sereno sulla vicenda e perciò le chiedo che effetto le ha fatto la chiusura di Annozero.
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A dirle la verità, caro Monetti, non mi ha fatto né caldo né freddo. Non ho mai subito il fascino di Santoro che resta e resterà il «Michele chi?» del fu presidente della Rai (in quota sinistra) Enzo Siciliano. Per quanto mi riguarda, avrebbe potuto tranquillamente orchestrare il suo Annozero per altri vent’anni, ma mi va benissimo anche che sbaracchi: non avendone mai vista una sola puntata, non mi mancherà di certo. Riconosco comunque a Santoro lo straordinario talento nel praticare quella filosofia di vita, personale e professionale, ben riassunta nella massima partenopea del «chiagne e fotti». Alimentando, con un ininterrotto «chiagnere» la sua condizione di eterno perseguitato dalle forze oscure del male (Berlusconi), un sempre più apprezzabile «fottere» sotto forma di prebende milionarie. Buon per lui, naturalmente. L’altra santoresca eccellenza risiede nell’aver gabbato mezz’Italia dando a intendere d’essere l’unica autentica spina nel fianco della destra (berlusconiana, va da sé). Se fu e se in futuro sarà davvero spina, cento di queste spine. Perché, dati alla mano, Michele Santoro e le sue sarabande mediatiche hanno avuto sull’opinione pubblica l’effetto dell’acqua fresca: non solo non hanno contribuito a rafforzare d’un solo voto lo schieramento sinceramente democratico, ma ne ha accelerato lo sfascio, confermandosi uno dei più validi fiancheggiatori del fronte liberalberluscodemocratico. E, nella sua veste di efficiente quinta colonna, «Michele chi?» ci mancherà, caro Monetti, questo va detto.
Vorrei aggiungere che se sul fatto in sé, sull’affaire Santoro, il mio interesse è zero, non altrettanto posso dire dei suoi risvolti. Avrà forse notato, caro Monetti, che il giornalismo militante - i Travaglio, i Maltese e compagnia cantando - ha dato del colpo gobbo santoriano una versione molto sinceramente democratica. Santoro, cioè, non sarebbe vittima della sua legittima, sacrosanta e perfino encomiabile («Enrichissez vous!», «Arricchitevi!», l’urlo di guerra del buon Guizot fa ancora aggio) cupidigia, ma della vendetta di Berlusconi, che finalmente è riuscito a farlo fuori. Bene. Se le cose stanno così io, qui, da questo «Angolo», mi appello a Silvio Berlusconi: Cavaliere, mi faccia fuori! Si prenda la sua vendetta per quella volta che scrissi peste e corna dei cento e cento cactus di Villa Certosa (se lo ricorda, nevvero?). Mi schiacci, mi obblighi alla resa, mi tolga la penna come ha tolto il microfono a Santoro. Mi renda un martire dell’informazione: non aspiro ad altro. Creda. Oh, Cavaliere amatissimo, sia chiaro: naturalmente alle stesse condizioni di Santoro: buonuscita di dieci milioni di euro e un milione di euro l’anno per qualche docufiction.

Non so cosa siano, ma imparo in fretta, io (per una milionata di euro l’anno, in frettissima).

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