Cemento, la burocrazia peggio di Kyoto

Produzione a rischio di tagli per le norme sulle emissioni inquinanti

Paolo Giovanelli

da Milano

Il rispetto del protocollo di Kyoto potrebbe costare all’Italia una riduzione del 13% della produzione di cemento, circa 5-6 milioni di tonnellate in meno all’anno. Il che potrebbe significare la chiusura di cinque impianti produttivi. E c’è di peggio: i cementieri hanno la possibilità di evitare le limitazioni di Kyoto utilizzando combustibili «verdi» che non devono rientrare nelle quote, ma ne sono impediti dalla burocrazia: le richieste di permesso di Italcementi si sono arenate negli uffici lombardi. Così l’Aitec, l’Associazione dei produttori di categoria aderente alla Confindustria, ha deciso di ricorrere al Tar contro le quote di Co2, le emissioni di anidride carbonica derivanti dalla produzione di cemento, concesse all’Italia dalla Commissione europea, chiedendone la sospensiva. E questo dopo aver presentato a settembre un ricorso alla Corte di giustizia Ue contro un provvedimento «discriminante per l’Italia» ha affermato il presidente dell’Aitec, Giacomo Marazzi.
L’Aitec ha contestato anche il calcolo delle emissioni dell’industria del cemento nel 2000, in base al quale è stato stimato il «fabbisogno» di Co2 per il triennio 2005-2007, per di più con una previsione di crescita di produzione inferiore a quella che si è poi realizzata. L’industria del cemento emette grandi quantità di Co2: per produrre i 100 milioni di tonnellate di «clinker» (un intermedio da cui si ricava il cemento) previste per il triennio, si emettono 89 milioni di tonnellate di Co2. Ma al settore ne sono state assegnate solo 77,5. Quelle mancanti significherebbero il blocco della produzione per evitare emissioni eccedenti. Né, afferma Marazzi, è possibile pensare all’«acquisto» di quote, previsto da Kyoto, perché farebbe lievitare troppo il prezzo di un prodotto povero come il cemento: lo stesso Marazzi ha calcolato in 130 lire al chilo (10 centesimi sono oltre 190 lire) il prezzo del cemento.
In questo quadro la soluzione ci sarebbe, e andrebbe a favore di tutti: utilizzare come combustibile i rifiuti, che sono considerati combustibile «verde» e che non rientrano quindi nel protocollo di Kyoto. «Se io brucio un pezzo di legno nel mio camino non ho problemi - ha detto al Giornale Fabrizio Donegà, vicepresidente Aitec e vicedirettore generale di Italcementi - ma se lo utilizzo nei miei impianti devo chiedere il permesso.

È dal gennaio 2004 che abbiamo chiesto di utilizzare rifiuti trattati, assolutamente sicuri, nel nostro stabilimento più moderno, quello di Calusco (in provincia di Bergamo, ndr), ma stiamo ancora aspettando i permessi di Comune, Provincia e Regione». Così in Italia viene utilizzato solo il 16% di rifiuti come combustibile, in Francia il 40%, in Germania il 100 per cento.

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