Alla cena tricolore del Pdl il piatto forte resta Fini

Il colonnello non vuol fare il maramaldo. Ve la racconto, ma giurate di non dire che ve l’ho detta io. «A Fiuggi disse che bisognava lasciare la casa del padre. Adesso gli tocca lasciare pure quella del cognato». C’è niente da fare. Berlusconi ha raccomandato agli organizzatori della festa nazionale del Pdl partita a Milano con la cena di gala «un menù tutto tricolore», ma il piatto forte resta Gianfranco Fini. Rosolato a fuoco lento dalle battute e dagli aneddoti di chi lo conosce bene. Di chi con lui ha fatto una lunga strada prima nel Msi, poi in An e alla fine nel Pdl. «Lo dico io che ero finiano - taglia corto il vicepresidente della provincia Novo Umberto Maerna parlando con l’assessore Giovanni De Nicola -. Adesso basta, deve rispondere». E un compagno di strada rincara. «Noi traditori? Adesso vadano a vedere i conti della fondazione». Sì perché dentro la destra l’accusa che fa più male è sempre quella, «traditore». Peggio che toccar la mamma.
Madrina un’impeccabile donna Assunta Almirante. Fuori piove che Dio la manda e un elegantissimo Riccardo De Corato assicura di avere gli stivaloni in macchina per correre in riva al Seveso se ce ne fosse bisogno. Dirigenti, militanti, simpatizzanti sono ancor più tonici dell’anno scorso. Il partito di plastica non c’è più. Le sciabolate estive tra Fini e Berlusconi hanno ricompattato anche i più tiepidi. E quando Riccardo Cocciante arriva a cantare una Bella senz’anima da brivido, l’onorevole Paola Frassinetti (vicina a Marco Valle) schiaffeggia Fini e può rivendicare i diritti d’autore sulla cover già esibita quest’estate a cena da Berlusconi. Non siediti. Ma «adesso alzati / da quella seggiola. Vivere insieme a te / è stato inutile / tutto senz’allegria / senza una lacrima». Applaudono (e cantano) Cocciante anche il capogruppo in Comune Giulio Gallera, i consiglieri Carola Colombo, Carmelo Gambitta e Roberta Capotosti colonna dell’organizzazione, gli assessori Andrea Mascaretti, Alan Rizzi, Fabio Altitonante, Romano La Russa e Stefano Maullu, l’onorevole Maurizio Bernardo, il consigliere in Regione Fabio Saldini. L’onorevole Gianpiero Cantoni. Carlo Petra, ex Amsa. Daniela Santanché con tacchi e prezioso spolverino da gran sera che sbrilluccica. Paolo Berlusconi. Il coordinatore nazionale Denis Verdini stringe le mani cardinalizio. «La politica - risponde a un dirigente dell’hinterland - è sempre più difficile da fare. Gli scontri sono sempre più duri». Ma poi si parla già di candidati. Si dovesse mai votare a marzo. Arriva il sindaco Letizia Moratti e il suo, forse per la prima volta, è un discorso da pasionaria azzurra. «Amiamo il Pdl perché amiamo l’Italia, non abbiamo bisogno di copiare gli ideali degli altri. Abbiamo i nostri». Al suo fianco Mariolina Moioli. Applausi e microfono al ministro Sandro Bondi che ringrazia Berlusconi «perché ha insegnato a far politica anche a noi che la facevamo da prima, la politica del fare». Quella che piace al coordinatore regionale Guido Podestà e anche ai tavoli del governo con il ministro Mariastella Gelmini, i sottosegretari Laura Ravetto e Mario Mantovani. Girano a stringer mani il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi e il senatore Alessio Butti capogruppo del Pdl in commissione di Vigilanza Rai, l’onorevole Pierfrancesco Gamba. L’assessore Maurizio Cadeo scuote la testa.

«Che peccato». Che peccato cosa? «Fini. Il partito si può e forse si deve cambiare. Ma da dentro. Uscire è tradire». Fini. Ancora Fini. Ai suoi fa male. Come un dente che fa male. E non si riesce a dimenticarsene. Soprattutto a cena.

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