Eleonora Barbieri
Erika Sunnegardh ha aspettato diciotto anni, passati fra tavoli, bicchieri e piatti da servire ai clienti, per inseguire un debutto che, ormai, sembrava destinato a non arrivare più. Lei, svedese cresciuta in una famiglia di cantanti lirici, sognava fin da piccola di diventare famosa come soprano: per questo si era trasferita a New York. Ma qui, per quasi vent'anni, ha fatto la cameriera, la segretaria, l'interprete, fino a pochi giorni fa, quando è apparsa al Metropolitan, per la serata di apertura del Fidelio di Beethoven. «Era dal 1918, anno d'esordio di Rosa Ponselle, che il Metropolitan non offriva una tale opportunità a una cantante praticamente sconosciuta» ha spiegato il direttore dell'Opera al New York Times.
La miracolata è la bionda Erika, quarant'anni, comparsa per la prima volta su un palcoscenico soltanto un anno e mezzo fa a Malmoe, nella sua terra d'origine: una parte ottenuta dopo essersi rivolta ad Ann Braathen, agente e vecchia amica di famiglia e dopo essersi rassegnata alla dura realtà, ovvero che, dopo anni e anni di lezioni, studi e sforzi quotidiani la sua carriera era sempre in attesa di sbocciare. Erika ha lasciato la Svezia per New York a 19 anni, si è diplomata alla Manhattan School of Music, ha continuato a perfezionare la sua voce con corsi costosi ma, fino all'intervento provvidenziale di Ann Braathen, le sue doti erano rimaste del tutto nascoste.
È stata l'agente di Stoccolma a farle ottenere due provini, nel 2004: la sua voce è piaciuta al direttore artistico del tempio dell'opera newyorchese, che l'ha poi scelta come sostituta di Karita Mattila, l'interprete di Leonora. E il destino, sotto forma di malanno improvviso per la protagonista, ha aperto a Erika la strada per un debutto che ha registrato oltre dieci milioni di radioascoltatori. Niente male per una che, sul curriculum, poteva vantare qualche performance in Svezia e molte presenze domenicali nel coro della Holy Rosary Church del Bronx, «un'esperienza emozionante - ha chiosato lei stessa - ma, professionalmente, insignificante». Per non parlare dei rospi ingoiati mentre lavorava al Lincoln Center, sede del Metropolitan e serviva caffè e panini ai suoi (allora soltanto ideali) colleghi in pausa.
La voce «è ancora da migliorare», come hanno sottolineato alcuni critici, ma non c'è dubbio che, per la quarantenne svedese, le possibilità di successo ci siano tutte: deve soltanto seguire il percorso già battuto da molte stelle del cinema, passate con naturalezza dai lavori più umili e faticosi alle copertine dei giornali di tutto il mondo. Prima fra tutte la conterranea Greta Garbo: la «divina» lavorava come commessa in un grande magazzino di Stoccolma, prima di posare per la pubblicità e approdare al cinema. Celebre anche l'esordio difficile di Marilyn Monroe che, sotto le spoglie di Norma Jeane, era un'operaia in una fabbrica: soltanto quando cominciò a guadagnare abbastanza come modella riuscì a lasciare il suo primo impiego. Stessa sorte per la bellissima Michelle Pfeiffer, commessa in un supermercato e per Mariangela Melato che, nella Milano di fine anni Cinquanta si occupa delle vetrine della Rinascente per riuscire a pagare i corsi di recitazione. Anche Lucia Bosé lavora in una pasticceria del capoluogo lombardo, mentre Sandra Bullock (che si è appena conquistata un Oscar per Crash) era commessa in una gelateria.
Un passato di sudate fatiche non va tenuto nascosto, anzi, è persino un po' bohemien: gli scrittori americani nella Parigi degli anni Venti e Trenta non disdegnavano sistemazioni ben peggiori. Certo non a tutti è toccata la parte dell'uomo-pollo, come al giovane Brad Pitt, assoldato per pubblicizzare i prodotti di «El Pollo loco», anche se al proprietario va sicuramente riconosciuta una certa lungimiranza nello scegliere il testimonial.
Lavori duri sono toccati all'aristocratico Sean Connery, prima marinaio e poi bagnino, assistente del lattaio e persino lucida-bare, quindi cultore di body-building, fino al ruolo di 007. La più originale, come sempre, è Angelina Jolie: da piccola sognava di dirigere un'impresa di pompe funebri. Ma poi (chissa perché) ha cambiato idea.
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