Ma che bella quell’Italietta che suonava in riva al lago

Ma che bella quell’Italietta che suonava in riva al lago

Nell’Italia di Andrea Vitali esistono ancora le perpetue e che si chiamano Scudiscia, i dottori commercialisti non hanno preso il posto dei ragionieri e quest’ultimi fanno di nome Onorato Geminazzi, sono di busto corto, di pancia spessa e di moglie prolifica, Estenuata all’anagrafe e di fatto, visto che di figli ne hanno messi al mondo già cinque e di un sesto sono in dolce attesa... Ci sono ancora i podestà come Gemmo Parpaiola, i direttori didattici come Parco Mincia, i parroci naturalmente, altrimenti le perpetue non potrebbero servire il loro don Santo Patroni, i titolari di piccole ditte come quelle di Gelsomino Varechini della Varechini Distillati e le di loro segretarie senza età e innamorate perse, Vereconde nel nome e invereconde nei pensieri, del principale. È un piccolo mondo lacustre pre-moderno eppure eterno, sciagurato, ma vivo, dove i maschi si ubriacano, ma le femmine hanno le tette grosse e la mano pesante, si gioca a scopa nei bar e c’è la banda del paese, si fanno intrighi per una licenza di commercio, l’apertura di una sartoria, ci si perde dietro storie d’amore e di corna nelle quali per sottofondo c’è sempre una modesta eredità, un figlio illegittimo, una vedova scaltra...
Più che un romanziere, Vitali è una sorta di geiser della scrittura, un capitolo di una sola pagina contiene già di per sé tante di quelle storie da riempire un intero libro. Non è avaro, insomma, ma dissipatore nel senso buono del termine: non risparmia e non si risparmia, probabilmente perché si diverte e quindi vuole che il lettore partecipi al suo divertimento...
Al momento di titoli alle spalle ne ha una dozzina, tutti più o meno premiati con qualcosa, dal Premio Chiara al Dessì, dal Bancarella all’Hemingway. Non gli è sfuggito nemmeno il Montblanc per il romanzo giovane e il Grinzane Cavour sezione narrativa... Adesso con il suo ultimo libro, Almeno il cappello (Garzanti, pagg. 404, euro 17,60) si è ritrovato a concorrere allo Strega, manifestazione al centro di polemiche, ritiri, candidature pretestuose e candidature minacciose (del genere «se non vinco è una vergogna»), e lui, che nella vita di tutti i giorni fa il medico condotto, ha accettato disciplinatamente. Se lo vince bene, se non lo vince chi se ne frega.
Almeno il cappello è una sorta di sarabanda che gira intorno a una scalcagnata fanfara di Bellano, otto elementi che gridano vendetta al cospetto degli dèi della musica, non fosse per un virtuoso del bombardino, Lindo Nasazzi, fresco vedovo e forte bicchiere. L’arrivo nella cittadina del già citato ragionier Geminazzi, un tempo «prima cornetta», dice lui («seconda» ribattono i suoi nemici, invidiosi ma ben informati), del Corpo Musicale di Menaggio, sull’altra sponda del lago, sembra l’occasione buona per riscattarsi dal ridicolo che fino ad allora ha accompagnato ogni esibizione. Ma per costruire un nuovo Corpo Musicale Bellanese, otto elementi non bastano e poi occorrono le divise, un luogo dove poter provare, una ferrea disciplina. Solo così si può tenere un concerto che per la festa dei Santi patroni possa aprire con Giovinezza, doveroso omaggio all’autorità politica, continuare con Al sacro soglio, doveroso omaggio all’autorità religiosa, proseguire con la marcia sinfonica I diavoli bianchi, ancora la marcia sinfonica Nel Duce, la luce, la raccolta di canzoni napoletane Al caffè, il duetto per bombardino e cornetta A tu per tu, la fantasia La figlia del reggimento dall’opera di Gaetano Donizetti, pezzi scelti per bombardino da La Traviata, per bombardino, trombone e cornetta dal Rigoletto, per poi chiudersi, naturalmente con Giovinezza. Quanto all’eventuale, anzi certo, bis, sempre Giovinezza, e sempre naturalmente...
Intorno all’erigendo corpo musicale si moltiplicano gli intrecci e gli equivoci, le ripicche e le generosità, le furbizie e i sogni. C’è la ragazza madre che si sistema, c’è il fresco vedovo che si mette in casa una virago che lo tiranneggia, c’è il segretario del Fascio che si innamora, c’è chi fa da ruffiano, chi da spia, chi da giudice... Su tutto Vitali spande uno stile rapido che non è mai sciatto, insaporito dal dialetto, ma senza esagerare, felice nella sua immediatezza e semplicemente strepitoso nella scelta dei nomi e nella descrizione fisica... Perché quell’Italia è un’altra Italia anche e proprio per come l’anagrafe la registra e la fisiognomica la tratteggia: il Lindo e il Fainetti, il Pianìn e il Guzzìn, la Noemi e l’Ermellina...

E fianchi larghi, culi grossi, cosce sode, spalle strette, «concertini» sulla testa a nascondere la calvizie, pizzetti, volti atticciati, mani sudate...
Almeno il cappello è dedicato, fra gli altri, «al Corpo Musicale Bellanese di cui fui trombone». In musica. In letteratura Vitali è un maestro.

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