Rho (Milano)«Qui, qui, siamo in due, siamo in due!». Niente da fare. Questa non è una democrazia e così i due voti contrari al documento programmatico si sbracciano invano. «Il manifesto era molto più netto su diritti civili e laicità, questo è annacquato» protestano, e però quandè il momento di metterci il nome si eclissano, sai mai che Fini poi li caccia.
Scene da un battesimo, lennesimo battesimo del Fli dopo Bastia Umbra e dopo Mirabello, che pare un funerale, facce lugubri e un po annoiate, del resto se lo dice pure Fini dal palco che «non tocca a noi far cadere il governo e Berlusconi i numeri li ha», vuol dire che cè da sperare meno di quanto ci sia da festeggiare. Comunque chi prova a togliere quel color livido dalle facce della platea cè. «Ma Ronchi si è dopato?» è il messaggino che si scambiano due seconde file del Fli quando lex ministro ripete che «qui oggi nasce lunica grande destra italiana» e più di quel che dice è il come, con quel tono da hip hip hurrà! Cè lei, «la nostra antiRuby» e chissà se ha gradito la definizione, la bellissima, altissima e nerissima Aminata Fofana, uninfanzia fra gli sciamani in una tribù della Guinea, un trascorso europeo da modella e poi cantante, un presente romano da scrittrice e chissà se un futuro con Futuro e libertà.
E poi certo, cè il giallo delluomo verde. Spunta dal nulla correndo, si butta sul palco ballando, punta urlando su Fini che sta parlando. Il placcaggio è così rabbioso che pure il leader si raccomanda: «Chiedo agli addetti alla sicurezza di accompagnarlo alla porta e di non maltrattarlo più di tanto...». Quelli alla porta ce lo portano, tenendogli una mano sulla testa e una sulla bocca, con lui, il disturbatore che il giorno prima aveva fatto la stessa scena con Bersani, a sventolare la patente dopo aver provato a dire invano: «Sono delle Iene». «Squadristi», si indigna una cronista per il trattamento, «non scriva cavolate, qui si tratta della sicurezza del presidente della Camera» reagisce il servizio dordine, «scriverò quello che ho visto» ribatte lei dura. Dietro al palco cè fermento. Chiedi sullala destra e ti mandano a sinistra, chiedi a sinistra e ti mandano a destra, insomma non si capisce come quel tipo in frac di un verde psichedelico sia riuscito a infiltrarsi fra i cento giovani che stanno alle spalle di Fini a simboleggiare se non la libertà, almeno il futuro.
Loro, i ragazzi di Generazione futuro, se ne stanno tutta lora e mezza del discorso del leader lì seduti sulla collina allestita sul palco, scenografia molto veltroniana anche nelle intenzioni, ché lerba è vera e verrà devoluta a unassociazione sportiva milanese che ci farà un campo da rugby. Vabbè, tanto qui paga Bocchino, malignano i pettegoli. Eh sì, perché ognuno nelle retrovie ha la sua teoria sul perché Fini rischi sempre di scontentare tutti pur di non far fuori lui, e quella che va più per la maggiore è questa: «Ma è ovvio, dai: Italo è il trait dunion fra la finanza milanese e il partito». Sarà.
A proposito di quelli di cui si parla male, pare non manchi a nessuno il grande assente della giornata, Luca Barbareschi. La cui diserzione comunque si nota, sarà un segnale che sia venuto il primo giorno e non oggi che parla il capo? Fortuna che invece cè ancora uno come Gianfranco Paglia, qui, medaglia doro al valor militare che ha perso luso delle gambe a Mogadiscio. Condanna il trasformismo, «è più facile che io torni a camminare piuttosto che lasci Gianfranco», parla di patria, poi abbraccia commosso Mirko Tremaglia, che traballa sul bastone ma non molla.
Siede in prima fila tutto il tempo, lex ragazzo di Salò e fa un po effetto, perché a guardarlo ti pare di stare ancora a quei tempi là, quando lMsi e Almirante e la destra. Solo che poi poco più in là cè Elisabetta Tulliani, capello spumeggiante camicetta bianca, che è venuta qui con la bimba e la tata.
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