Lo chef Brunetta ha la ricetta giusta per i fannulloni

Caro Granzotto, purtroppo per fax o lettera tramite il Giornale, non riesco a mettermi in contatto con lei, cosa comunque molto difficile perché saranno certo moltissimi a cercare di farlo. Però ora ci riprovo con e-mail, grazie ad un amico, perché io non ho Internet. Si tratta di questo: nel suo «Angolo» lei si complimentava con il ministro Brunetta per una super ricetta di pasta e fagioli, che dovrebbe anche essere stata riportata dai giornali e che lei gratifica con un «magna cum laude». Purtroppo non sono riuscita a trovarla, perciò sono costretto a importunarla con una preghiera: me la può comunicare? Lei, che ne è il primo esperto al mondo, ci mette le cotiche fresche, l’osso di prosciutto, salsiccia contadina e carré di maiale affumicato? Ho ancora una domanda. Non molto tempo fa lei scrisse, a proposito della nostra entrata in guerra nel 1918, che le truppe italiane, poco prima della dichiarazione formale di guerra, irruppero in Austria per conquistare Cittanova, se ricordo bene. Potrei ricorrere alla sua cortesia per avere copia di questo articolo?

Eccomi qui, caro Petracco: chi la dura la vince, eh? Prima d’ogni cosa mi lasci dire che Renato Brunetta è un grande. Mai l’Italia repubblicana poté contare su un ministro così dinamico, sbrigativo, costruttivo e concludente. In più, egli parla fuor dai denti e se deve dire fannulloni dice fannulloni, che poi scova e mette in riga. Nemmeno lui, che pure è un titano, riuscirà a sveltire quel mastodonte invertebrato e spiaggiato che è la pubblica amministrazione. Però ci prova e qualcosa ottiene, meritandosi il plauso d’ogni cittadino per bene. Come non bastasse, Brunetta è anche un buongustaio e la ricetta della sua pasta e fagioli ne è conferma. Eccola, caro Petracco: «Soffritto, sedano, cipolla, carota, prezzemolo, aglio per chi lo vuole, borlotti a mollo la sera prima, se no con un po’ di bicarbonato. Al soffritto si aggiungono i borlotti ammollati, acqua, rosmarino, una patata. Quando il fagiolo è cotto, si tolgono e se ne passano due terzi, e questa passata la si rimette subito dentro. Poi si sceglie la pasta, io preferisco i maltagliati fatti in casa. Mentre la pasta cuoce si mette del pomodoro, pepe, sale, olio, si aggiusta e alla fine, se uno vuole essere un po’ ricco mette un culetto di prosciutto cotto». Wow! Come se ne uscirebbe il Nobel Obama. Perfetta. Perfetta se «ricca», ovvero col culetto, al quale comunque io preferisco la cotica (ma come le viene, caro Petracco, di proporre salsicce o maiale affumicato o l’osso di prosciutto? Mica è roba per pasta e fagioli, sa. L’osso di prosciutto ci si sposa alla grande coi fagioli, ma è tutt’altro piatto). Guardi, le vengo incontro: con una pasta e fagioli alla Brunetta ci beva sopra un Serramarrocco. È il vino che ci vuole. Sentirà suonare le arpe celesti, creda a me.
Passiamo alla Grande guerra. Non ho mai scritto che l’esercito italiano irruppe in Austria anzitempo. Posso sbagliarmi, caro Petracco, ma non risulta proprio che qualche fante abbia anticipato le schiere che il 24 maggio passarono il Piave, calmo e placido, per far contro il nemico una barriera.

Scrissi - ed è cosa ben nota - che il primo colpo di cannone fu sparato, sempre all’alba del 24 maggio, contro le postazioni nemiche arroccate a Cervignano nel Friuli, dove corre l’Ausa che segnava il confine fra l’Italia e l’impero Autro-ungarico (quel proiettile non esplose ed è ancora là, nel muro dell’edificio che ospitò poi il quartier generale della Terza Armata, quella del Duca Invitto, Emanuele Filiberto d’Aosta). Lo stesso 24 maggio cadde sul monte Colovrat il primo soldato italiano, il ventitreenne Riccardo Di Giusto, nativo di Udine.

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