La Cina: nessuna terapia choc «Graduale» il rialzo dello yuan

La Cina andrà avanti con la riforma del regime di cambio dello yuan, ma con un approccio graduale ed evitando una «terapia choc». Più che un’apertura, quella del governatore della Banca popolare di Cina Zhou Xiaochuan, appare la ripetizione di un mantra datato. Nessuna rivalutazione rapida della moneta cinese, ribadisce il banchiere centrale a Washington.
Ieri, però, qualcosa si è mosso: lo yuan ha toccato il livello più alto sul dollaro dal 1994, anno in cui le autorità cinesi decisero di abbandonare il cambio fisso con la moneta Usa. Tuttavia, la rivalutazione rispetto al giugno scorso è di poco superiore al 2%, mentre il Congresso americano - che sta esaminando una legge per imporre dazi ai prodotti cinesi - giudica lo yuan sottovalutato del 20-40%.
La questione assai delicata dei cambi approda al G7, come portata principale della cena che ministri delle Finanze e banchieri centrali hanno tenuto ieri sera (piena notte in Italia) all’ambasciata canadese a Washington. La Cina, che non fa parte del gruppo, è il convitato di pietra: senza eccezioni, tutti i Paesi avanzati chiedono infatti a Pechino di rivalutare la moneta nazionale, il cui livello molto basso crea da tempo forti distorsioni nel commercio globale. «Dobbiamo trovare un giusto equilibrio fra una moneta solida e una moneta che ci permetta di esportare le nostre merci», commenta Giulio Tremonti riferendosi all’euro. Il ministro dell’Economia, a Washington per il G7, osserva poi che «bisogna venire negli Usa per sentir parlare dell’Italia con equilibrio. Il giudizio del Fmi sull’Italia è di prudente tenuta».
«Non è una guerra delle valute - puntualizza a sua volta Mario Draghi dalla capitale americana - ma ci sono forti disallineamenti, che certamente ostacolano la ripresa mondiale. Questi disallineamenti - aggiunge il governatore di Bankitalia - certamente vanno affrontati e risolti, facendo attenzione che i rimedi non siano peggiori dei mali». Anche il governatore cinese Zhou precisa di «non conoscere il significato di guerra delle valute». In effetti, la situazione nel mercato dei cambi si presenta ormai molto complessa. Non che siano mancate, in passato, situazioni analoghe che portarono agli accordi del Plaza e del Louvre. Ora, però, i protagonisti non sono più soltanto le economie avanzate. Anzi, al centro della polemica c’è la Cina, e la sua politica di svalutazione competitiva. Americani ed europei sono in pressing su Pechino. «Le monete sottovalutate artificiosamente minacciano la ripresa dell’economia globale», accusa il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner. «L’euro è troppo forte - gli fa eco il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker -: non siamo soddisfatti dell’attuale tasso di cambio, lo yuan deve apprezzarsi».
Anche ieri, mentre i ministri finanziari di mezzo mondo raggiungevano Washington per l’assemblea annuale del Fmi, i mercati dei cambi erano sottoposti a tensioni.

Il dollaro ha raggiunto il minimo degli ultimi quindici anni sullo yen nipponico, tanto da indurre il ministro delle Finanze, Yoshihiko Noda, a confermare che Tokio interverrè sul mercato dei cambi, se necessario. La moneta Usa è rimasta debole anche nei confronti dell’euro, a causa dei brutti dati di settembre sul mercato del lavoro (95 mila posti persi).

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