Qualcuno si chiede perché il cinema italiano sia messo così male? La risposta è sul nuovo numero di Micromega, «dedicato al rapporto tra cinema e impegno», e si sono impegnati molto, bisogna riconoscere, sembra di essere negli anni 70, una tavola rotonda simile alla sala ovale di Clinton ricreata in un sottoscala della Cgil e senza neppure una Lewinsky, i servizietti se li fanno lun laltro e ne viene fuori lunga una pompa funebre, più che il Sessantotto un sessantanove di gruppo, una sega circolare: «Sono daccordo con Virzì». «Sono daccordissimo con Bertolucci». «Ha ragione Monicelli». «Concordo con Procacci».
Comunque sia, qui mi impegno per un riassunto sullimpegno, e mica per militanza, sono pagato per farlo, e anche per farvi risparmiare 14 euro. Sappiate pertanto che: 1) Esiste «un impegno che si presenta in modo esplicito ma esiste anche un impegno di tipo implicito». 2) Espliciti sono Il divo o Gomorra, impliciti certi giovani interpretati da Mastandrea. 3) Il cinema italiano «è sotto attacco del Cavaliere», e manca tutto, «manca la politica, manca leconomia, manca la volontà di costruire strategie di rinnovamento». Non è che facciano cagare loro, come verrebbe da pensare, piuttosto «il cinema italiano, messo sotto attacco dalla destra», mentre quando governava Prodi prosperava. 4) Lo conferma anche Bertolucci, «Berlusconi demotiva il paese», e non solo il cinema, anche il calcio, perché «i risultati deludenti della nostra Nazionale sono figli di questo clima di demotivazione introdotto dalle pratiche della politica berlusconiana». 5) Poiché il dibattito avviene su Micromega, da micro dellItalia ci si allarga al mega dellOccidente, e al riguardo interviene Monicelli, sullOccidente «sazio del proprio benessere», lOccidente che «ha cominciato il proprio declino», tutto un predicozzo sugli egoismi, le sopraffazioni, le bestie feroci, «una tana che serve ancora di più a alimentare la reciproca ostilità». E il massimo dellOccidente quandera? Quando cera la Dc? La Guerra fredda? Luigi XIV? LImpero Romano? Il Pleistocene? 6) «Nonostante tutto, noi - cazzo! - combattiamo», annuncia trionfale Alba Rohrwacher, avanti popolo. 7) E però per chi combattono? Solo contro Berlusconi? Macché, magari. 8) Interviene puntuale un accademico, il «docente di politiche globali» Pierfranco Pellizzetti, il quale si impegna a ragionare sull11 settembre, perché «la guerra al terrore ha prodotto una militarizzazione del mondo fomentata dai media ma avversata dal cinema». Sebbene dagli Usa arrivino però anche film belli, come quelli di Michael Moore e Nessuna verità e tanti altri per raccontare limperialismo del capitalismo. Con rispolvero dobbligo di Jean Baudrillard, il filosofo che l11 settembre ha applaudito lattentato alle Twin Towers, perché il terrorismo è «un punto infinitesinale, ma in grado di provocare unaspirazione, un vuoto, una convenzione gigantesca. Intorno a questo punto infimo tutto il sistema, quello del reale e quello della potenza, si deifica, si tetanizza, si raggomitola su se stesso e si inabissa nella sua stessa iperefficacia». E Pellizzetti, al massimo dellimpegno e del raggomitolamento tetanizzato deificato iperefficacizzato, chiosa felice: «Sotto il ricatto emotivo del patriottismo anche Hollywood si accodò per un certo periodo nellaccreditamento della rappresentazione manipolatoria», vale a dire «la demonizzazione dellavversario alla stregua del male assoluto, lo schematismo dei buoni (gli occidentali) contri i cattivi islamici». In altri termini il professor Pellizzetti insegna ai suoi studenti che i Boeing kamikaze non sono cattivi, cattivi siamo noi occidentali, perché bisogna comprendere le ragioni dei talebani, e per fortuna esiste il cinema. Sappiate che non è stata Al-Quaeda a dirottare gli aerei, piuttosto «un apparato concettuale tranquillamente metabolizzabile dal côté oligarchico del tradizionale politico a stelle-e-strisce: lidea fissa di un patriziato coloniale che ha difeso i propri privilegi censuari attraverso il controllo sociale ottenuto dirottando lattenzione dei subalterni». 9) Meno male cè Marco Bellocchio, pompa funebre a cura di Malcolm Pagani, giornalista del Fatto Quotidiano e figlio di Barbara Alberti (anche lei firma del Fatto) e del produttore cinematografico Amedeo Pagani. Il giovane Malcolm è estasiato di fronte a Bellocchio, perché «lintera opera di Bellocchio poggia sulla rivolta», figo. Così racconta tutta la vita di Bellocchio dalla A alla Z, dal maoismo del Sessantotto «dovevo accettare di rinascere in unorganizzazione rivoluzionaria che avesse come riferimento il libretto rosso di Mao quanto la lezione su Tebe e sulla sua ricostruzione di Brecht, allora ragionavo così», oggi non ragiona più così, ragiona così e così, grazie alla psicanalisi, quando «per linsistenza di un grande amico andai da Fagioli», e magari lamico intendeva ma vai a fagioli e lui anche lì ha capito male, chissà. 10) Rimane senza risposta una domanda, quando i marziani marxisti micromeghiani si chiedono «Un film può ancora aiutare a decifrare la realtà e a modificare limmaginario collettivo diffondendo anticorpi contro linciviltà?».
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